In visita a Catania per girare un documentario che parla di vita e di morte, i Baustelle incontrano gli studenti universitari e rispondono alle loro domande.
‘Una canzone per non arrendersi alla morte’. Intervista ai Baustelle
In una conferenza ospitata dalla facoltà di Scienze Politiche, i Baustelle hanno presentato agli studenti dell’ateneo catanese il loro progetto di fare “un viaggio verso l’inferno che è la vita” e hanno spiegato come mai hanno scelto proprio la Sicilia come location per girare un video-documentario, per il nuovo singolo “Baudelaire” che parla di morte. All’incontro, trasmesso in diretta su Radio Zammù, la band di Montepulciano non si è limitata a rispondere alle domande degli studenti, ma ha rivolto al loro pubblico l’interrogativo “a cosa serve vivere?” “Mi rendo conto che è una domanda da un milione di dollari, ma se non altro è una domanda su cui si può parlare a ruota libera”.
Il vostro prossimo singolo s’intitola “Baudelaire”, inoltre il progetto del documentario prende ispirazione dalla poesia dello stesso Baudelaire “le voyage”. Possiamo considerarvi allora i “menestrelli del Neo-Decadentismo”?
Io non mi sento decadente se non, ahimè, nell’aspetto fisico (ride). Però non mi piacciono le etichette. Non escludo che magari le nostre prossime canzoni parlino di amore nella maniera più solare o più positiva possibile. Fino adesso ammetto di poter dare adito ad etichette di decadentismo o di pessimismo cosmico. Sono stato così fino ad oggi, ma non mi piace essere ingabbiato in una definizione.
Nel 1963 quando Pasolini girò “Comizi d’amore”, temi come quelli trattati nel documentario fecero molto scalpore perché considerati dei tabù e anche nelle risposte della gente si notava una certa paura. Oggi non esistono più di questi tabù e il tema della morte non è più considerato tale.
Tante cose sono cambiate da allora e guardando oggi “Comizi d’amore” tante cose fanno sorridere. Certe cose, grazie anche al ‘68 e alle lotte che sono state fatte, sono cambiate in meglio. Ma non sono del tutto sicuro che non esistano più tabù. Il nostro tentativo è provocatorio. Noi stiamo promuovendo una “canzonetta”, ma vogliamo farlo in un modo che smuova la gente, che la costringa a parlare di una cosa che è primitiva ma che è la domanda esistenziale per eccellenza. Anche oggi è necessario fare dei documentari come “Comizi d’amore”, perché è un modo per cercare di risvegliare le coscienze degli italiani.
Cosa vi aspettate che la gente possa rispondere alla vostra domanda “ a cosa serve vivere”?
Non so bene quale sia la risposta che ci aspettiamo dalla gente. Sentiamo la necessità forte di andare in giro a chiedere alla gente qual è per loro il senso del rimanere vivi sulla terra.
Non vi sembra un cliché quello di definire la Sicilia o il sud un luogo associato alla morte?
Io credo che la morte sia ovunque. Non credo più che la Sicilia sia ancora quella del delitto d’onore. Però noi da qualche parte dovevamo cominciare. Ci siamo fatti guidare più che da un cliché dalla cultura di questa terra e da un simbolo, giusto o sbagliato che sia. La Sicilia è una terra fatta di bianco e nero. È una terra molto assolata e dall’altra parte molto legata al concetto del lutto e della morte. È stato un modo per partire. E poi siamo venuti a parlare di morte ma anche di vita. La canzone “Baudelaire” è un elenco di morti, ma in realtà è un inno alla vita e al “non-suicidio”. Siamo venuti in Sicilia per parlare di morte ma anche per promuovere una canzone che parla di come non arrendersi alla morte, in tutti i sensi.