Un rispettabile negozio e gli assegni a vuoto «Così sono stato fregato da Willy Cerbo»

Un rispettabile negozio nei pressi della centrale via Umberto, a Catania, e un rapporto di lavoro che si avvia senza intoppi. Dopo circa dieci mesi, l’amaro epilogo: alcune forniture per circa 70mila euro non sono mai state pagate. «La mia unica fregatura in trent’anni di carriera», dichiara amaramente Carmelo, di professione agente di commercio. Si era ormai lasciato alle spalle la brutta esperienza, anche se «mi è costata parecchie migliaia di euro in provvigioni», ammette. Almeno fino a quando non ha visto su CTzen la foto dei suoi truffatori: William Alfonso Cerbo e il padre Francesco Ivano, arrestati pochi giorni fa quali membri del clan mafioso Mazzei al termine di una grande operazione della guardia di Finanza etnea, con sequestri.

«Sono contento che siano finiti così – afferma Carmelo – Ma non avrei mai immaginato che avessero questa caratura criminale, che fossero membri del clan dei carcagnusi». Un ragazzo esuberante, sicuramente sopra le righe quel Willy, diventato noto alle cronache per la sua ossessione per Tony Montana, il gangster protagonista del film Scarface. «Ricordo un abbigliamento appariscente e che guidava anche una Porsche, tenuta un po’ male. Il padre invece parlava spesso della sua antipatia per le forze dell’ordine. Ma ho incontrato tanta gente così negli anni, di certo non mi sono fatto influenzare negativamente dalla prima impressione», racconta Carmelo.

Soprattutto perché il negozio di arredo bagno, piccolo ma ben rifornito, sembrava ben avviato, e i Cerbo «si presentavano con delle buone referenze: una iscrizione alla camera di commercio di Roma e numerose attività, anche immobiliari. Il negozio catanese era intestato a una giovane donna se ben ricordo». Da qui ai primi rapporti di lavoro il passo è breve: «Le prime tre o quattro forniture di mobili da bagno, da poche migliaia di euro, sono state regolarmente pagate, senza nessun ritardo e in contanti». Tanto che Willy Cerbo e il padre, che insieme gestiscono l’attività, conquistano la fiducia dell’azienda, che accorda forniture sempre più grosse.

Nell’arco di sei mesi, tutto procede senza intoppi. «Quando l’azienda ha cominciato a dar loro credito, con l’aumento degli importi, sono passati al pagamento con assegno bancario», racconta Carmelo. Qui iniziano i problemi con la banca dei Cerbo: «Le aziende non riuscivano a incassare gli assegni, emessi da una agenzia di una banca con sede a Roma, e nemmeno ad avere informazioni. Tra lo stupore, a quanto sembra solo apparente, di padre e figlio». Che nel frattempo chiudono il negozio catanese.

Allarmato, l’agente non fa in tempo a chiedere spiegazioni ai due che riceve una chiamata da Cerbo: «Stiamo aprendo un punto vendita a Ragusa». E proprio nel capoluogo ibleo si conclude la vicenda. «Mi hanno invitato al negozio, ancora in allestimento, con l’architetto e alcuni operai a lavoro. Per strada c’erano persino i cartelli pubblicitari», racconta Carmelo. Tanto basta all’azienda per dare ulteriore credito ai due, «che hanno sempre utilizzato il proprio nome e cognome», sottolinea l’agente. «Forse è superfluo aggiungere che si è verificato lo stesso problema con gli assegni al momento del pagamento. Da allora né io né l’azienda siamo più riusciti a metterci in contatto con loro». Il negozio ragusano, scopriranno in seguito, non ha mai iniziato ufficialmente l’attività. «Gli assegni invece sono tornati indietro – conclude con rammarico il suo racconto Carmelo – scaduti anche i termini di protesto».


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