Ho letto la storia del piccolo Peppe su questo giornale e sono rimasta sconvolta. Speravo che la gente si svegliassi dal torpore, che i catanesi si chiedessero se è giusto morire a tredici anni per strada senza che nessuno si faccia nemmeno una domanda. Ho pregato che le nostre istituzioni fossero colpite da questa vicenda, accaduta in un quartiere conosciuto solo per la droga, i furti di rame, i blitz delle forze dellordine e qualche fiore nel deserto (Iqbal Masih, i Briganti, Fiumara darte).
Qualche giorno fa, sempre su questo giornale, leggo che qualcosa a Librino si muove. Si vuole costruire uno stadio. Uno stadio! È una maniera semplice per far dire alle istituzioni nel caso improbabile in cui qualcuno alzi un ditino «Ma noi ci stiamo pensando a Librino. Vedete, vogliamo fare il centro direzionale. E poi cè lo sport. Fozza Catania». Un tempismo disgustosamente perfetto.
Di calcio si parla, mentre una mamma piange il suo povero bambino dopo averne autorizzato la donazione degli organi. Peppe non era un ragazzino di buona famiglia, la sua storia parla da sola, ma aveva dimostrato che con un piccolo aiuto si sarebbe salvato. Non sarebbe morto come un cane abbandonato per strada, arrotato da chissà chi.
Invece di ridare il campo di San Teodoro ai Briganti, per togliere dalla strada un numero incredibile di ragazzini che non sanno giocare ad altri giochi se non al recluso in casa o allo spacciatore, si pensa al calcio. Si dà altro spazio nel quale far giocare un branco di persone che non sanno cosa sia la città nella quale vivono fino alla firma del contratto successivo. Uno sport che giorno dopo giorno dimostra di essere in realtà un movimento marcio, che muove gli interessi della criminalità più disparata.
Facciamo un altro campo di calcio. Edifichiamolo sulla tomba di Peppe Cunsolo e sui sogni di tutti i ragazzini di Librino.
Maria T.
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