Step1 incontra Daniele Gangemi, giovane regista di Una notte blu cobalto, un film che mostra la Catania underground, con tanti nomi noti e una colonna sonora firmata Giuliano Sangiorgi. Pochi mesi fa il premio come migliore opera prima al World Fest di Houston, festival di cinematografia che in passato ha dato una chance a David Lynch, ai fratelli Cohen e al mitico director di Indiana Jones
Un catanese sulle orme di Spielberg
Sono tanti i ragazzi del Sud che per riuscire ad emergere nel campo della comunicazione si spostano dalle loro città per mettere in pratica ciò che hanno imparato e, perché no, per avere maggiore visibilità.
E a volte capita che, dopo alcune esperienze di assistenza alla regia e un corto selezionato al Bellaria Film Fest, si diventi protagonisti di un importante evento cinematografico negli States.
È questo il percorso di Daniele Gangemi, regista catanese, classe 1980, che ha vinto pochi mesi fa il premio come migliore opera prima al World Fest di Houston con il suo “Una notte blu cobalto”. Un significativo riconoscimento ed una grande soddisfazione per un ragazzo che ha realizzato il suo primo lungometraggio (indipendente) ed è riuscito a farsi notare a un Festival che in passato ha dato una chance a registi come David Linch, Steven Spielberg, i fratelli Cohen.
Gangemi ha potuto avvalersi di un cast di attori importanti (Alessandro Haber, Corrado Fortuna, Valentina Carnelutti, Regina Orioli) e il suo film ha incontrato anche il consenso di chi nel suo campo lo ha già trovato: Giuliano Sangiorgi dei Negramaro ha scritto la colonna sonora del film.
La sua pellicola, di recente, è stata presentata anche nella prestigiosa vetrina del Taormina Film Festival, nella sezione “Speciale Sicilia” a Palma di Montechiaro.
La storia è quella di Dino , studente universitario fuori corso che si trova ad affrontare un periodo particolare della sua vita: si trova bloccato nello studio, nella vita in generale. La situazione migliora quando inizia a lavorare come fattorino per una pizzeria d’asporto, la “ Blu Cobalto” appunto: la solitudine del protagonista interagisce con quella dei clienti della pizzeria , che danno la possibilità a Dino di entrare nelle loro storie nei pochi minuti legati alla consegna della pizza.
La storia professionale di Daniele è lunga, parte da lontano, inizia a Catania e prosegue a Bologna. Ma il suo sogno era tornare, per realizzare un progetto che coinvolgesse la città: “La mia fantasia nasce da suggestioni catanesi. Ho voluto restituire questi regali e spero di esserci riuscito”, ci dice Gangemi.
Ma andiamo con ordine. Chi è Daniele Gangemi e come nasce la sua passione per la regia?
E’ un ragazzo nato negli anni 80, periodo storico pieno di idee innovative,vivaci, ma difficilmente realizzabili a Catania. Non ho iniziato con la regia, bensì con la radio, la mia prima passione. Ho avuto la fortuna di ideare e condurre il mio primo programma, una rubrica notturna, all’età di 15-16 anni. Quest’esperienza mi ha dato la possibilità di interagire con gli ascoltatori, di conoscere le loro storie. Dopo la radio ho sperimentato il mezzo televisivo e mi sono appassionato alla fotografia, che è un altro modo di raccontare per immagini. Tutto ciò ha portato negli anni al desiderio di sperimentare un linguaggio più complesso: alle parole ho cominciato ad aggiungere le immagini, prima con la fotografia, poi con la macchina da presa.
Quali sono state le tue prime esperienze in questo campo?
Ho capito sin da subito che dovevo spostarmi: ho lasciato la Sicilia per andare a Bologna. Il siciliano ha il limite della distanza: si dice che abbia una marcia in più ma deve andarsi a cercare ciò che gli serve e per fare questo deve superare l’aspetto teorico. E per me è stato proprio così. A Bologna ho conosciuto tanti giovani appassionati di cinema come me ed ho realizzato il mio primo corto: è stato l’inizio di un percorso…
Ho partecipato come volontario o ‘video assist’ in diversi set cinematografici, ho cominciato a prendere sempre più confidenza con la macchina da presa, che comunque, rimane un mezzo complesso anche per gli addetti ai lavori. Sono stato per un anno a Roma e poi di nuovo a Bologna. Ma nei miei progetti c’era quello di ritornare a Catania e realizzare nella città dove sono nato un’idea tutta mia. E così è stato…
Hai avuto un “ colpo di genio” oppure si trattava di un progetto chiuso nel cassetto da anni?
L’idea esisteva già da qualche tempo e dopo aver fatto tante esperienze pensavo di aver raggiunto una credibilità tale da poter proporre una mia sceneggiatura. E quest’occasione l’ho avuta esordendo con il lungometraggio “Una notte blu cobalto”.
Cosa ha significato per te girare a Catania e quali sono state le difficoltà per realizzare un film indipendente?
Aver realizzato il film a Catania significa aver dato una giusta collocazione alle idee, alle storie che avevo immaginato, in base anche al mio modo di vivere la città. Volevo inquadrarla con l’occhio di un catanese anche perché credo che raramente le due cose siano coincise. E poi è un vantaggio in termini di attenzione al dettaglio, alla vita della città, alle sue potenzialità.
Le difficoltà sono state principalmente due: la prima, trovare degli imprenditori che credessero nella mia storia. Ho faticato, ma alla fine, la casa di produzione “Orchidea” mi ha dato fiducia. La seconda, di natura economica: il cinema indipendente è più un cinema di idee che di mezzi. Io non mi posso lamentare perché ho realizzato tutto ciò che volevo fare ma i budget non sono certo quelli americani.
Ti sei ispirato ad un grande del cinema per la tua sceneggiatura? Il “ viaggio” del tuo protagonista rappresenta un’occasione di riscatto. Da cosa?
L’idea era quella di trovare uno stratagemma, un espediente, alla maniera hitchcockiana, che magari non significava nulla, se non la possibilità di raccontare qualcos’altro. E io volevo parlare della solitudine e dei modi diversi di affrontarla. Dino decide di aprirsi agli altri per riscoprire se stesso. Insomma, è possibile fare della difficoltà un’occasione di crescita e di confronto con gli altri.
Il premio a Houston, gli applausi a Palma di Montechiaro: che effetto ti hanno fatto?
E’ già strano per un catanese fare cinema: ancora più strano trovare il primo pubblico pagante negli USA. A Houston ho avuto un bel riscontro di pubblico e di critica. Ho vissuto una settimana di cinema, ho firmato tanti autografi, sono stato trattato come fossi una celebrità. E mi viene da sorridere se penso che in Italia non ho ancora un pubblico. Gli States rimangono culturalmente assai diversi da nostro Paese: non importa chi sei, da dove vieni, quali sono i tuoi amici. Ciò che conta è il tuo talento. È stata un’occasione di confronto internazionale: diversi modi di vedere il mondo, di filmare la realtà. Anche a Palma hanno apprezzato molto il film. In questa località però non esiste un cinema da anni. Ed è stato bello vedere come il Taormina Film Fest si sia messo in movimento per portare il cinema in una città che lo aveva perso. So che per fortuna a breve ne riapriranno uno.