Ultras in corteo, nessun coro per Pulvirenti «La serie A ha imborghesito squadra e tifosi»

Due ore di manifestazione e neanche un coro contro Antonino Pulvirenti. Né contro la società, né contro i giocatori. I tifosi del Catania rispettano quanto promesso nei giorni scorsi: non sarà una protesta, ma la giornata dell’orgoglio rossazzurro. Così è stato ieri pomeriggio. Circa duecento tifosi, secondo le stime della Questura, si sono dati appuntamento in piazza Università e hanno sfilato pacificamente per via Etnea fino alla villa Bellini. Intonando i cori che ogni domenica si levano dalle due curve. E che solo nell’ultima partita casalinga in casa contro il Napoli si erano momentaneamente zittiti, dando vita alla prima vera contestazione della stagione che ha fatto infuriare il presidente Pulvirenti. «La verità è che in quell’occasione avremmo dovuto abbandonare gli spalti, i giocatori del Catania non sanno nemmeno cos’è la contestazione». Michele Spampinato è uno dei leader della curva Nord, nonostante sulla sua testa penda un Daspo fino a fine stagione che gli impedisce di essere presente allo stadio. La maggior parte degli ultras non vogliono parlare con i giornalisti e rimandano a lui, uno degli storici capi che nella trasferta contro la Roma del 2008, durante alcuni scontri contro i tifosi rivali, si è beccato una coltellata al gluteo.

«La lettera del capitano Izco e l’appello della società a sostenere la squadra? Non c’entrano niente con questa manifestazione – spiega Spampinato – questa è una chiamata a raccolta, ma per far capire al presidente che, nel caso in cui lui avesse mollato, Catania invece continua a rispondere, a prescindere dalla categoria. Perché anche in B, Catania scende cantando». Una settimana fa, a nome della curva Nord, Spampinato ha reso pubblica una lettera indirizzata a Pulvirenti. Con un elenco di otto domande: dall’attuale stato del bilancio societario, all’acquisto del terreno in contrada Jungetto dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio, passando per le cessioni estive, il caro biglietti, l’allontanamento dell’ex ds Sergio Gasparin e per contro «la conferma di dirigenti che pare perseverino nel non adempiere al loro dovere con la dovuta perizia e passione». «Quando tutta Catania chiedeva un attaccante, lui parlava di stadio. Ci sono tante cose da chiarire, ma il presidente non ci ha dato risposta», spiega il leader.

Le forze dell’ordine scortano a distanza il corteo. Le prime file sono riservate agli ultras organizzati. E chi non scandisce gli slogan con una quantità di decibel da curva, viene duramente rimproverato dai capi. Più indietro ci sono anche genitori con bambini – che, nonostante la tenera età, già conoscono tutti i cori, compresi gli immancabili insulti contro Palermo – fidanzate e professionisti. «Per me Pulvirenti è finito da quando, a novembre, è andato in televisione a dire che non aveva sbagliato niente», sottolinea Alberto Surrentino, avvocato e promotore del Cinestudio. Idea condivisa da Chiara Russo, appena maggiorenne. «Oggi niente slogan contro il presidente, ma io ce l’ho con lui perché non ci ascolta e ha sbagliato tutto», spiega, precisando però di non credere a un piano studiato per retrocedere. Chiara da un anno ha fatto il salto dalla tribuna A alla curva Nord, dove dice di aver trovato un ambiente accogliente e non maschilista. «In passato ho partecipato ai cortei studenteschi ma non ci credevo, questo è il primo a cui prendo parte davvero col cuore».

Sotto la prefettura il corteo si ferma e partono i cori che chiedono la liberazione di Antonino Speziale e Domenico Micale, i due tifosi condannati in Cassazione per l’omicidio dell’ispettore di polizia Fillipo Raciti nel derby contro il Palermo del 2 febbraio 2007. E’ inusuale vedere gli ultras darsi appuntamento in via Etnea. «Siamo lavoratori e padri e da singoli andiamo anche ad altre manifestazioni come quelle per il lavoro, ma non come gruppi organizzati», spiegano i leader. E’ vero, a Catania la curva non si mischia in altre battaglie a sfondo sociale. Anche le forze dell’ordine che conoscono il mondo ultras confermano. Ma adesso lo spettro delle retrocessione supera i confini del Massimino. «La città di Catania è già retrocessa, la squadra era rimasta l’ultima possibilità di ribalta nazionale – continua Spampinato – perché il popolo ha bisogno di una gioia».

Il popolo, l’orgoglio, la maglia. Parole che tornano spesso nelle frasi e negli slogan. Noi siamo il Calcio catania, urlano. Loro e non la società, non i giocatori. E nemmeno il resto dello stadio, reo di essersi fatto piegare «dall’imborghesimento della serie A». «Noi ci saremo sempre, anche in B, come ci siamo stati negli ultimi vent’anni, perché a differenza dei benpensanti perbenisti che pensano che il calcio sia solo la serie A, noi siamo orgogliosamente provinciali». Alla fine della manifestazione i leader danno appuntamento ad oggi, quando al Cibali arriverà il Torino. Le previsioni dicono che non ci sarà una nuova contestazione. «A meno che non finisca come col Napoli», si affrettano a precisare i capi.

[Foto esterna di Catanista]


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