Dieci persone arrestate, 17 divieti di esercitare l’attività d’impresa e il sequestro di 30 milioni di beni nei confronti di 17 società e di 25 indagati. È il bilancio dell’operazione Ultimo brindisi della Guardia di finanza di Catania, coordinata dalla Procura europea di Palermo, nei confronti di un’organizzazione che avrebbe illecitamente commercializzato bevande in Italia evadendo l’Iva. L’ordinanza è stata eseguita da Finanzieri nelle province di Venezia, Vicenza, Messina, Siracusa, Salerno, Roma, Padova, Rieti, L’Aquila e Milano. Tra gli indagati anche il figlio incensurato di un boss della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola.
Il giudice ha disposto il carcere per sei indagati e gli arresti domiciliari per altri quattro, compresi due consulenti fiscali, padre e figlio, ipotizzando, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere, evasione e frode fiscale e bancarotta. Emessa una misura cautelare interdittiva nei confronti di 16 imprenditori e un ragioniere, prescrivendo loro il divieto di esercitare la loro attività per un anno. Secondo l’accusa, a capo dell’associazione per delinquere sarebbe un 41enne incensurato figlio di esponente del clan mafioso Santapaola attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sulmona. L’inchiesta, durata due anni, ha acceso un faro su un presunto gruppo criminale, con base operativa in un deposito di Belpasso, che, avvalendosi di imprenditori e professionisti, ha realizzato, negli anni, un volume d’affari superiore a cento milioni di euro. L’organizzazione, secondo l’accusa, gestiva imprese cartiere e interposte servendosi di prestanome. Contestati anche: l’acquisto senza Iva di merci falsamente destinate all’estero, il mancato versamento in Italia dell’imposta sugli acquisti provenienti da San Marino, dove il sodalizio operava con un’azienda a loro riconducibile, e la simulazioni di operazioni intracomunitarie con una società apparentemente situata in Bulgaria, ma di fatto da loro gestita in Italia. Profitti illeciti per quasi 600mila euro sarebbero stati realizzati anche attraverso crediti d’imposta inesistenti, come falsi corsi di formazione per i dipendenti a loro riconducibili. Ad alcuni indagati sono contestate episodi di bancarotta fraudolenta di tre società oberate dai debiti tributari, preventivamente drenate delle risorse finanziarie e private di beni strumentali, e poi cedute a prezzi irrisori.
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