“Buona sera, So-o-no Lu-ci-i-a-no Gra-no-ozz-i”.
No, il professore non è misteriosamente diventato balbuziente, è semplicemente il solito microfono che fa le bizze, tanto da portare i veterani frequentatori del corso di storia contemporanea a chiedersi “Ma è il professore a essere “acchiappato” con le tecnologie oppure è semplicemente sfortuna?”
E’ iniziata così, tra gli sghignazzi generali delle matricole e le risate più ferrate degli “aficionados”, una delle lezioni più attese e affollate dell’intera Facoltà di Lingue e Letterature Straniere.
Ma non era che l’inizio delle sventure, dopo due minuti esatti, il professore decide di cambiare microfono e la sua voce assume per un brevissimo istante le sembianze naturali, ma stavolta un errore gli è fatale; ignaro di aver lasciato il microfono “portatile” acceso, lo avvicina a quello da tavolo, con conseguente rumore assordante. Dopo attimi di panico il tutto si risolve con un applauso generale.
“La storia del presente” è il tema della lezione. Il professore invita subito l’affollatissima platea, formata per il 90% da piacenti ragazze, a far attenzione e interrogarsi su quale presente prendere in considerazione, per poi spaziare sulla complessa problematica dell’importanza del “Sentimento del passato”. Il pubblico ascolta passivamente annuendo, spesso per disperazione. Il silenzio viene interrotto ogni qualvolta il professore parla di “aprire il manuale”, da un coro di disappunto espresso sotto forma di un ipocrito brusio.
All’accenno al carattere globale dei moti del ’68, nella parte superiore dell’aula, cominciano a girare voci sul presunto schieramento a “destra” del professore che, ignaro di tutto ciò prosegue nel suo interessantissimo discorso. Non appena il nome di Breznev viene pronunciato, misteriosamente si spengono le luci con conseguente coro di stupore. Per parecchi minuti si prosegue a “luci spente” tanto da indurre i più fantasiosi a pensare all’imminenza di un attacco batteriologico. Nemmeno il nome di Gorbaciov riesce a far tornare la luce e la calma all’interno di quell’aula rovente.
Non appena la “compagna di banco” (ancora non si rendeva conto di essere all’Università, quindi era proprio una compagna di banco), intuisce che probabilmente io ero uno degli “aficionados” del corso di storia contemporanea, mi sussurra una domanda che ormai è diventata un classico delle prime lezioni: “Ma è bravo questo?” . Nemmeno il tempo di rendermi conto della banalità della domanda che per incanto torna la luce, e con essa tornano tra i vivi le oltre 30 ragazze che dall’ultima fila cominciavano a russare, provocando ilarità tra i vicini.
Come al solito qualcosa lascia una traccia di stupore negli occhi del dottor Gallina, la spalla destra, opps sinistra del professore, quando al termine “Welfare State” la platea reagisce con un, seppur sussurrato, ghigno. “Chissà cosa mi aspetta quest anno agli esami” sembrava pensare il dottor Gallina., il professore Granozzi invece continuava a parlare imperturbabile, tanto da indurmi a riflettere sul momento migliore per porgli una domanda. Il momento arriva alla fine della lezione, quando tutti sembrano voler attentare alla vita del professore, circondandolo pericolosamente. “Professore, cosa ha intuito dagli sguardi dei ragazzi?” “I miei anni di carriera mi hanno aiutato a capire che le prime impressioni, quelle legate agli sguardi, sono quelle che più ingannano”.
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