«Terra a vocazione turistica»: è la Sicilia delle campagne elettorali. Ma il turismo, a parte essere uno dei protagonisti della mitologia istituzionale, che ruolo gioca nell’economia attuale dell’isola? Provano a spiegarlo due operatori che hanno scommesso al di qua dello Stretto. Il primo è Sandro Chiriotti, astigiano, enologo e specializzato nel turismo gourmet. «La Sicilia è un mini-continente, che negli ultimi anni si è conquistato crescenti quote di mercato sia in ambito turistico che commerciale, grazie a prodotti naturalmente vincenti. È una regione dotata di potenzialità infinite, in virtù delle eccellenze che vanta in tutti i campi: dal patrimonio storico-culturale a quello eno-gastronomico».
Una tesi confermata dai tre milioni di visitatori in più al termine dell’ultima stagione estiva. Ma non basta. «Si continuano a commettere errori e a registrare arretratezze operative ataviche sia in politica che nell’imprenditoria: politiche di valorizzazione che si accavallano, costanti cambi di referenti, imperdonabile confusione e ritardi decisionali, mancanza di coesione nei messaggi e nel definire i target strategici da raggiungere». L’impressione che si ha quando si ascoltano le parole degli operatori che rivendicano la propria scelta di puntare sulla Sicilia, è che la promozione dell’isola interessi più ai non isolani che agli autoctoni. «Da dieci anni – continua Chiriotti – mi scontro con queste difficoltà, ma il fascino e le poliedriche attrattive della regione e della sua gente mi riportano sempre qui, per tentare nuovi approcci, per cercare nuove risposte, per attivare nuove alleanze tra il sapere locale e quello esterno».
Concezio Natale è l’amministratore delegato di Best holidays in Italy, società irlandese che convoglia flussi di turisti british in Italia. «La Sicilia sta crescendo: è presente in tantissimi cataloghi internazionali. I punti di forza sono ben chiari a tutti: arte, cultura, natura. E poi sono le persone a fare la differenza». Torna subito, però, il tema delle criticità. «C’è un problema – prosegue Natale – proprio al cuore dell’isola: le località costiere tengono troppo in ombra quelle dell’entroterra; non si devono sottovalutare le risorse interne, altrimenti si crea un buco dentro: come le caramelle Polo. Inoltre si sta frammentando il territorio in consorzi turistici che non fanno altro che disgregare l’immagine della Sicilia, che invece deve essere venduta in modo unitario: gli stranieri fanno già fatica a riconoscere la regione, figuriamoci i distretti».
Servono, dunque, visione d’insieme e continuità nella gestione; e ripartire da quella classe di operatori locali che ci crede e che, finora, è riuscita a far sparire le bruttezze con i giochi di prestigio dello spirito e dell’ironia tipicamente siculi. Chi conosce l’arte di arrangiarsi, la filosofia del disguido e la politica del sorriso, però, da solo non ce la fa. Per il salto di qualità occorre l’intervento delle governance locali e regionali e chi osserva il territorio dall’esterno potrebbe essere un ottimo consigliere. Le soluzioni, del resto, non mancano: per Chiriotti gli strumenti da mettere in campo sono «la comunicazione, la formazione interna, l’apertura di cantieri esterni, la selezione dei mercati più adatti e la definizione delle strategie migliori, con un imprescindibile primo passo da fare: l’abbandono del campanilismo, del localismo, da sostituirsi con una visione totalizzante del brand-Sicilia»; secondo Natale l’esempio da seguire è quello pugliese: «Aggregazioni tra imprenditori per creare veri e propri sistemi di accoglienza e una corretta utilizzazione dei finanziamenti europei: i roadshow nelle capitali europee sono un esempio tangibile, con due milioni di investimento e dieci di ritorno». E mentre i tour operator vedono il successo turistico a portata di mano e fanno va e vieni dall’isola per preparare pacchetti sempre più completi e competitivi, sullo sfondo c’è la Sicilia con le sue genti, disgrazia e sale di questa terra.
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