Tanti motivi per lasciare Palermo, ma non per fuggire. E’ un Giovanni Falcone combattivo quello che scrive, a macchina, una lettera di risposta a un professore di diritto, Vincenzo Musacchio. E’ il dicembre del 1991. Il magistrato è finito a Roma, la scelta di lasciare Palermo segue il fallito attentato nella sua villa dell’Addaura, il 21 giugno 1989, quando qualcuno sussurrò che l’esplosivo «se l’era piazzato da solo». «Anche io come lei sono convinto che il mio posto sia a Palermo, ma ci sono momenti in cui occorre fare delle scelte e impiegare tutte le energie possibili per la lotta alla mafia. Mi creda il mio non è un abbandono. Continui a credere nelle giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali». La missiva autografa e inedita, su carta intestata della Procura della Repubblica di Palermo, è stata pubblicata ieri sul quotidiano palermitano L’Ora.
Falcone – nel momento in cui scrive quella lettera – è da poco direttore dell’Ufficio affari penali del ministero di Grazia e giustizia, guidato da Claudio Martelli. Il clima allora era pesante. Era il periodo del ‘Corvo’, delle denunce anonime che arrivavano in quel tribunale ribattezzato il «Palazzo dei veleni». Falcone – rincuorato dalla lettera del docente – riflette sulla possibilità di lasciare Palermo: «… Ci sono momenti in cui occorre fare delle scelte e impiegare tutte le energie possibili».
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