Pietro Paolo Masaracchia, capo della famiglia di Palazzo Adriano, spiegava i dettagli del piano di morte a Vincenzo Pellitteri, finito in manette ieri nell’operazione antimafia Grande Passo 3. Un'esecuzione su commissione per una questione di eredità
Tremila euro per l’omicidio, così i boss facevano cassa «Appena lui scende io gli faccio la festa subito»
Per ammazzare un uomo bastavano tremila euro. «Gli ho detto senti qua… per dare le furcunate si va e non si sa quello che può succedere, può essere che questo muore, può essere che succede…». Un rischio che andava ricompensato. «… ed allora… ci vuole qualcuno che si assume le responsabilità ed allora… tu pagando dici… vuoi fatto questo discorso… esci tre mila euro e si è chiusa qua…». «Appena lui scende, io gli faccio la festa. Subito…». Pietro Paolo Masaracchia, capo della famiglia di Palazzo Adriano, spiegava i dettagli del piano di morte a Vincenzo Pellitteri, finito in manette ieri nell’ambito dell’operazione antimafia Grande Passo 3, che ha smantellato il mandamento di Corleone.
A commissionare l’omicidio era stato il «compare del tabacchino». Temeva di perdere un’eredità a causa dell’ingerenza di una terza persona, un rischio acuito dalla mancanza di un testamento scritto. Al committente, spiegava ancora Masaracchia, «gli ha cominciato a bruciare il culo perché ha messo le mani nella roba». Anche perché «di tutte le sue cose, loro a poco a poco, fra denunce, e chi… e sbirri, e giudici e minc… e cause e avvocati, quello, tutta la roba di quella, siccome quella morirà e se li prende lui, quello non ci rifiuta». Così l’unica soluzione alla controversia era la morte. «Là per rifiutare c’è una cosa sola: o fosso o ad andare qua (giù di lì, ndr)». Una linea su cui era d’accordo anche il figlio del compare.
L’omicidio non andò in porto, perché il 23 settembre del 2014 Masaracchia fu arrestato dai carabinieri nell’operazione Grande Passo, ma le cimici degli investigatori hanno documentato tutta la fase preparatoria. E il via libera all’assassinino ricevuto anche dall’anziano capofamiglia di Chiusa Sclafani, Gaspare Geraci, detto don Aspano. Perché da rimpinguare c’erano le casse di Cosa nostra. «… siccome quello mi ha detto, scusami, mi ha detto sempre vedete di fare soldi per i ragazzi, vedete di fare soldi e di metterli nella cassa, vedete di fare cose…».
L’omicidio andava pianificato nei minimi dettagli, così come andava trovato il modo per depistare le indagini. «…quella cosa delle femmine mi è piaciuta!… Poi si prendono le scarpe, la macchina è qua, lui è a terra e si buttano là vicino sempre…Fratè, armiamoci di coraggio ed andiamo a fare questa faccenda e chiudiamo il discorso». Per cogliere di sorpresa la vittima i killer si sarebbero dovuti nascondere dietro un abbeveratoio. «Come entra dal cancello non deve… non deve scappare… Ci vuole uno che chiude il cancello subito!. Due da sopra che lo fermano con quattro pietre.. come lui scende… gli faccio la festa… subito».
E siccome i killer sarebbero dovuti entrare in azione nelle campagne di Contessa Entellina, territorio di cui era referente Pietro Pollichino, era necessario avvisare del piano anche lui. «Glielo dobbiamo dire – spiegavano – perché poi io le so queste cose che poi, vedi, quando uno si vede scartato, che non si vede cose…, specialmente con queste cose che ci sono state così, e tu gli dai importanza alla cosa, alla persona… questo è il rispetto».
L’intervento dei carabinieri e l’arresto di Masaracchia stoppò l’omicidio. Ma quelle dei boss non erano chiacchiere al vento. Lo sanno bene gli investigatori che l’indole violenta del capo della famiglia di Palazzo Adriano la conoscevano bene. Per punire gli autori di un furto non autorizzato nel 2012 era pronto a una punizione esemplare: l’incendio dell’auto di uno dei due e l’omicidio dell’altro. Solo la mediazione di un altro boss riuscì a dissuadere Masaracchia.