Aveva fretta di essere ascoltato Carmelo D’Amico, il pentito messinese che doveva deporre ieri e che invece ha dovuto attendere oggi a causa di un rinvio dovuto all’assenza in aula del generale Mario Mori e del suo avvocato Basilio Milio, impegnati in un altro processo sempre a Palermo, quello, adesso giunto in appello, sulla mancata cattura di Provenzano nel ’95.
Un’udienza, quella di oggi, basata soprattutto su quanto gli fu riferito dal boss Nino Rotolo nel periodo in cui si trovavano rinchiusi entrambi nel carcere di Milano.
Il pm Nino Di Matteo, prima di iniziare ha consegnato al giudice Alfredo Montalto una lettera scritta lo scorso 4 aprile da D’Amico che chiedeva di essere «Ascoltato con urgenza per motivi giudiziari». Aveva paura e ha paura per la sua famiglia che si trova a Barcellona Pozzo di Gotto, ha detto oggi, in videoconferenza, rivolgendosi al magistrato ad inizio udienza e ha raccontato di non avere collaborato subito per questo motivo. A dargli la spinta sarebbe stato, a suo dire, la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco (il 21 giugno 2014,ndr): «Parole che mi hanno colpito moltissimo. Mi hanno fatto riflettere e così ho deciso di cambiare vita».
D’Amico aggiunge che cercheranno di ammazzarlo per le cose che racconterà in udienza: «Oggi farò per la prima volta nomi di potenti che sono capaci di tutto, sono capaci di entrare nelle carceri simulando suicidi e morte naturale, non solo in carcere ma anche fuori. Siamo in pericolo sia io che lei dottore Di Matteo, sono capaci di tutto. Sono loro che dirigono la politica in Italia».
«Andreotti, con altri politici, e i servizi segreti sono i mandanti delle stragi del ’92, di Capaci e di via D’Amelio. Me lo ha raccontato Antonino Rotolo in carcere. Hanno deciso di uccidere Falcone perché il giudice stava per svelare i contatti tra Cosa nostra e i servizi segreti con i politici. Volevano comandare l’Italia» ha detto il pentito che ha aggiunto che sempre secondo quanto gli raccontò Rotolo «Dopo le stragi mafiose del ’92 politici come Mancino e Martelli si fecero sotto per trattare con Cosa nostra. I servizi segreti avviarono la trattativa e hanno indirizzato Mancino e Martelli a rivolgersi all’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, per arrivare a un compromesso, alla fine delle stragi. E Dell’Utri fece il doppio gioco. Alla trattativa hanno partecipato anche pezzi da novanta del Ros e anche della Polizia».
Il pentito ha fatto riferimento anche al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro e alla sua posizione: «Non è il capo di cosa nostra. – ha detto – , deve essere un palermitano il capo di cosa nostra». Poi è tornato a parlare di Palermo e della latitanza di Provenzano: «Provenzano era tranquillo perché era protetto dal Ros e dai servizi segreti. L’unica volta che Provenzano si allontano’ da Palermo e dalla Sicilia fu quando andò in Francia per farsi operare a causa di un tumore alla prostata». (E’ sulla vicenda del’operazione alla prostata che ruota la vicenda di Attilio Manca, l’urologo all’ospedale di Viterbo, 34enne, trovato morto la mattine del 12 febbraio 2004 nella sua abitazione, ndr).
Rispondendo alle domande del pm D’Amico ha anche raccontato, sempre secondo quanto gli fu detto da Rotolo, la genesi di Forza Italia e dei suoi componenti e il collegamento con Cosa Nostra : «Forza Italia è nata per governare l’Italia. Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e i servizi segreti. Riina aveva ricevuto un sacco di promesse che non sono stati mantenute dai servizi segreti. Il ministro Angelino Alfano – ha aggiunto – è stato eletto con i voti di Cosa nostra, sia ad Agrigento che in Sicilia. Poi però ha fatto leggi come il 41 bis le confische dei beni e Cosa nostra non ha votato più per Forza Italia, perchè insomma gli ha voltato le spalle. Anche Renato Schifani è stato eletto con i voti di Cosa nostra. All’epoca i politici hanno fatto accordi con Cosa nostra».
Anche l’ex ministro Calogero Mannino è stato tirato in ballo da D’ìAmico: «Aveva l’accordo con Cosa nostra. Non meritava di essere assolto, faceva parte di Cosa nostra».
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