Tra memorie e storia

La comprensione e l’analisi dell’attuale situazione politica in Palestina trovano un presupposto cruciale nella conoscenza del periodo storico a cavallo tra la fine della dominazione ottomana e l’inizio del mandato britannico.

Proprio a questo sono stati dedicati i due seminari inseriti nel corso di Storia dei Paesi Islamici e la conferenza del 27 maggio 2009 dal titolo “Storie e memorie: la Palestina tra epoca ottomana e mandato britannico”, tenuti da Cristiana Baldazzi, docente di Lingua e Letteratura araba presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Trieste.

Nel corso dei due seminari, la docente ha offerto una prospettiva nuova rispetto alla consueta storiografia sulla travagliata area geografica della Palestina.

A tal proposito, è stato presentato il lavoro dei cosiddetti “nuovi storici”, studiosi israeliani e palestinesi che nelle loro ricerche hanno affiancato alle consuete fonti storiche “ufficiali”, nuove testimonianze , permettendo così di ricostruire e completare il quadro storico. Quest’ultimo, in tal modo, non si fonda solamente su accordi e trattati fra le diverse entità politiche, ma sulla storia della gente comune, sottovalutata in passato, ma altrettanto rilevante ai fini storiografici e registrata nelle memorie, in arabo mudhakkirat o mudhakkarat.

Queste appartengono a un genere letterario, rivalutato negli ultimi decenni, che “si colloca a metà tra la scrittura intima, il racconto di sé e la cronaca evenemenziale”.

Le memorie pongono la società e i suoi individui al centro della narrazione, fornendo ritratti della società dell’epoca; nell’autobiografia, invece, intesa come racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, il fulcro è sulla vita individuale ed in particolare sulla storia della propria personalità.

Tuttavia, la distinzione tra memorie e racconto autobiografico non è facilmente riconoscibile. Lo stesso termine mudhakkirat ha origini recenti: il suo uso viene attestato intorno alla fine del XIX secolo per indicare scritture autobiografiche, chiamate precedentemente targiama shartiyya o sira shartiyya. Ad esempio, l’opera Al-Ayyam (“I giorni”) di Taha Husayn (1889-1973) viene definita dal suo stesso autore una mudhakkira.

Intorno al ‘900 si attesta la pubblicazione di 12 opere che presentano all’interno del titolo il termine mudhakkirat: si tratta spesso di lettere, appunti di viaggio e note finzionali, che si ispirano al modello francese dei mémoires, diffusi in Egitto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Quindi, il genere letterario delle memorie è considerato, al pari del romanzo, una forma mutuata dall’occidente che si è rivelata congeniale agli scrittori arabi per narrare le urgenze storiche, letterarie, politiche e identitarie, nonché le aspettative, le preoccupazioni e gli stati d’animo delle popolazioni mediorientali.

La scrittura delle mudhakkirat, sebbene non presenti i caratteri di documento storico in senso stretto, ha contribuito a colmare il vuoto lasciato dalla storia ufficiale, si è fatta portavoce di una memoria comune ed è diventata specchio di una società civile ignorata dalle fonti storiche tradizionali, che, a volte, non sono state in grado di fornire una visione dei fatti valida. Il racconto dell’esperienza personale è divenuto, quindi, “risposta alla disintegrazione della società e al conseguente disorientamento dell’uomo, acquisendo notevole pregnanza politica”.

La conferenza si è poi incentrata sulla lettura di alcuni passi tratti dalle memorie di  Muhammad ‘Izzat Darwasa, nato a Nablus nel 1887, e di Wasif Jawhariyya, nato a Gerusalemme nel 1897. Se il primo nella sua opera registra molti particolari di vita quotidiana e descrive le personalità politiche palestinesi, non curandosi di fornire dettagli sulla sua vita personale, il secondo risulta, invece, più ironico nel giudicare sia l’alta società, che aveva modo di frequentare nella sua attività di musicista, sia gli avvenimenti della sua vita privata. Entrambi gli scritti presentano, dunque, descrizioni minuziose e dettagliate sulle società e modi di vivere di due realtà diverse, quali Gerusalemme e Nablus, consentendo perciò ai lettori odierni una lettura comparata tra la vita in centro e in periferia. Inoltre, sia Darwasa che Jawhariyya ci consentono di adottare un nuovo punto di vista sulle ultime fasi della dominazione ottomana. Alcune interpretazioni reperibili sia nella storiografia palestinese che in quella israeliana, per motivazioni ideologiche opposte, vedono nel dominio ottomano un periodo di declino e degrado, che sarebbe finito con l’arrivo britannico o con i primi coloni sionisti. I processi di ammodernamento, in realtà, sarebbero iniziati già prima del mandato britannico, smentendo in questo modo anche la visione eurocentrica che vedeva nell’impero ottomano l’esempio più radicale di dispotismo orientale.

Grazie alle memorie viene alla luce una realtà di convivenza pacifica e di tolleranza religiosa; ne sono esempio il tradizionale pellegrinaggio di Nabi Musa, al quale partecipavano cristiani, ebrei e musulmani, e la topografia della città di Gerusalemme, che, fino al mandato britannico, non conobbe alcuna distinzione territoriale.

Gabriella Massara

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