Tra chioschi e bar, il giro della cocaina nei paesi della provincia. «Guarda che mi è arrivata ieri»

Non solo il Tiffany di Aci Bonaccorsi, che ha dato il nome al blitz, ma anche parcheggi di noti centri commerciali della provincia, un chiosco di riferimento per gli amanti del karaoke e poi ancora bar e panifici. Dall’ordinanza con cui ieri è stato disposto l’arresto di 13 persone arriva un’ulteriore prova di come il traffico di cocaina faccia parte della quotidianità non solo delle grandi città ma anche dei piccoli centri. L’inchiesta – condotta dai magistrati Ignazio Fonzo, Tiziana Laudani e Fabio Regolo – ha al centro le attività di spaccio tra i comuni di Aci Bonaccorsi, Aci Sant’Antonio, Pedara, Viagrande e San Giovanni la Punta. Tra i protagonisti ci sono soggetti ritenuti contigui alla criminalità organizzata, nella fattispecie il clan Laudani, come Giuseppe Bonanno, Daniele Mangiagli e Francesco Vittorio, ma anche figure che nei paesi sono conosciuti soprattutto anche per il proprio mestiere, come nel caso di Emanuele Guarnaccia, titolare di un chiosco a Viagrande. L’uomo, 38 anni, è finito ai domiciliari insieme alla compagna Melania Rapisarda, 27 anni.

Per la gip Anna Maria Cristaldi, sarebbero stati due degli anelli finali della catena che garantiva, con una certa continuità, la disponibilità di cocaina sul territorio. «Più volte mi è capitato che mi trovavo presso il chiosco di Guarnaccia – ha raccontato uno dei tanti assuntori intercettati dagli investigatori nel corso delle indagini – Coco arrivava con in mano un involucro di plastica di colore giallo di medie dimensioni che generalmente viene utilizzato per contenere le sorprese delle uova di cioccolato e lo consegnava nel retro a Emanuele. All’interno si capiva chiaramente che vi fosse della cocaina». La persona che avrebbe portato la droga a Guarnaccia è Pietro Coco. Il suo è uno dei nomi che ricorre più spesso nell’ordinanza ed è partendo da lui che la procura ha ripreso a indagare, dopo che già l’anno scorso una serie di arresti aveva assestato un colpo allo spaccio nella zona. Stavolta, però, nei confronti di Coco – la cui famiglia gestisce il bar Tiffany di Aci Bonaccorsi – non è stata emessa alcuna misura cautelare, perché l’uomo è deceduto a febbraio scorso.

Stando alla ricostruzione degli inquirenti sarebbe stato Coco il principale acquirente degli stupefacenti trattati dal gruppo che avrebbe avuto in Giuseppe Bonanno la mente e in Francesco Vittorio il braccio operativo per quanto riguardava le trattative con gli acquirenti interessati a grosse partite di droga, da rivendere poi a loro volta ai pusher al dettaglio. Nella primavera dello scorso anno, Vittorio avrebbe venduto a Coco due chili di cocaina. Nell’inchiesta sono finite diverse conversazioni che raccontano da una parte l’ampia disponibilità di droga da parte di Vittorio – conosciuto anche come Ciccio pesce o Mangioglio – e dall’altra quanto Coco venisse considerato un riferimento. «Guarda che mi è arrivata ieri», dice il primo per presentare l’ultima fornitura. In un certo momento, il gruppo di Bonanno e Vittorio avrebbe avuto a disposizione anche dieci chilogrammi di cocaina, sette del tipo denominato Africa e tre del tipo Stella. Quantità importanti, la cui gestione comportava anche dei problemi, a partire dal luogo in cui custodire la droga. Da qui il tentativo di convincere Coco a comprarne una parte, nonostante quest’ultimo avesse fatto presente di averne ancora tre etti da piazzare.

La trattativa alla fine va in porto per la soddisfazione degli indagati oggi accusati di associazione a delinquere. Coco, dal canto suo, si sarebbe detto anche disponibile a presentare un soggetto da utilizzare come custode dello stupefacente. «Vuoi un posto dove mettere cose? C’è un ragazzo che con cento euro al mese lo trova», spiegando però che, una volta chiuso l’accordo, «non ci devi portare nessuno». A meno di non volere metterne a rischio la segretezza del nascondiglio.

Chiusa la vendita, per il gruppo di Bonanno e Vittorio si sarebbe presentato un altro tipo di problema: recuperare le somme che Coco avrebbe dovuto corrispondere. Migliaia di euro, se si considera che il prezzo proposto da Vittorio era stato di 38 euro al grammo. Gli approcci per ottenere il pagamento sono molteplici e non mancano i momenti di nervosismo. Così come i propositi di rivalersi sul debitore. «Forse non l’hanno capito che per adesso Messamoto è il nostro… Specialmente adesso è il nostro ma anche il padrone è nostro». Per gli inquirenti, Giuseppe Bonanno e Francesco Vittorio parlano del cavallo di proprietà di Coco. L’animale sarebbe stato ambito per tirarci su dei soldi. «(Bonanno, ndr) si sentiva autorizzato a organizzare competizioni di cavalli al posto di Coco, utilizzando il suo cavallo dato per vincente in tutte le competizioni a cui aveva partecipato», ha annotato la gip.

E se nel caso di Messamoto si tratta di un esemplare «considerato di inestimabile valore nell’ambiente delle corse clandestine», un altro cavallo diventa oggetto di una conversazione tra Guarnaccia e lo stesso Coco. Anche il contesto diverso: in questo caso sarebbe stato Coco a cercare di vendere al primo della cocaina. Il contatto avviene mentre Guarnaccia è alle prese con un equino, ma non per una corsa clandestina. L’uomo è coinvolto in attività ludiche rivolte ai bambini negli spazi di un noto centro commerciale. «Ora non posso lasciare, ho un manicomio qua. Ho perso due giorni di lavoro con quello spacchio di cavallo», dice Guarnaccia. La cessione di droga, tuttavia, sarebbe comunque avvenuta. L’uomo, infatti, dà il compito alla compagna di raggiungere il fornitore. Così da trovare il modo di non deludere, oltre ai bambini, anche i consumatori di cocaina.


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