Foto di Nuria Lopez Torres per Msf

Dagli stupri all’autolesionismo imposto: le torture sui migranti raccolte dai medici di Palermo

«Per tutta la vita ho subito violenze». «Mi hanno picchiata così forte da lasciarmi in fin di vita». «Hanno violentato mia moglie davanti a me e, ogni volta che provavo a ribellarmi, minacciavano di ucciderla». Parole come pietre, quelle nel rapporto Disumani di Medici senza frontiere che raccoglie le esperienze delle persone sopravvissute alle torture lungo la rotta migratoria del Mediterraneo prese in carico nell’ambulatorio interdisciplinare di Medicina delle Migrazioni che Msf gestisce a Palermo in collaborazione con l’azienda ospedaliera universitaria Policlinico Paolo Giaccone, il dipartimento Pro.Mi.Se (Promozione della salute, materno-infantile, di Medicina interna e specialistica di eccellenza), la clinica legale dei diritti umani (Cledu) e l’Università di Palermo.

L’intenzionalità del male

«Alla base di ogni forma riconosciuta di tortura e di trattamento inumano e degradante – si legge nel report – c’è la volontà di infliggere deliberatamente dolore a un altro essere umano». Un’intenzionalità del male che è quasi la norma nella rotta migratoria mediterranea che diventa un viaggio letale. «Il percorso integrato di cura per le persone che hanno subito torture con conseguenze devastanti – dicono da Msf – deve partire dalla necessità di curare non solo le ferite fisiche, ma anche i danni psicologici di identità andate in frantumi». Tra gennaio del 2023 e aprile del 2025, il personale dell’ambulatorio di Palermo ha assistito 160 persone in movimento sopravvissute alle torture: lavori forzati in condizioni di coercizione; ustioni con olio bollente, plastica fusa o oggetti metallici bollenti; folgorazioni; percosse a mano o con oggetti appuntiti o bastoni; abusi fisici, mentali o sessuali; privazioni di acqua e di cibo; costrizione ad assistere a violenze su altre persone, in particolare uomini costretti allo stupro delle loro mogli o sorelle. E i dati pubblicati nel report Disumani non sono esaustivi «a causa della natura estremamente traumatica delle violenze e della difficoltà di esprimere e affrontare i ricordi». Ma non solo, è emerso che «percosse e violenze fisiche sono percepite da molti pazienti come un’esperienza così comune e diffusa da non essere state esplicitamente menzionate».

Cicatrici fisiche e psicologiche

Tra le persone sopravvissute alle torture la conseguenza più comune è il dolore cronico. Poi ci sono sintomi muscoloscheletrici (come le mialgie croniche) e osteo-articolari che dipendono da fratture non trattate o lesioni dei nervi periferici. Tra i pazienti dell’ambulatorio palermitano sono stati riscontrati anche molti casi di sintomi neurologici e dell’apparato digestivo che riguardano l’ambito cardio-metabolico e gastroenterologico. A questo si aggiungono le patologie ginecologiche in chi ha subito violenze sessuali. «Oltre ai segni sul corpo – riferiscono da Medici senza frontiere – la tortura lascia
profonde cicatrici psicologiche persistenti e debilitanti
». Dai sintomi da stress post-traumatico all’ansia, dalla depressione ai disturbi psicotici e comportamentali che, in non pochi casi, sfociano in pensieri suicidari. «Nessuna terminologia diagnostica riesce a esprimere a pieno la situazione – riferisce una psicologa di Msf del laboratorio di Palermo – Lavoriamo con i pazienti per fare in modo che i flashback e i pensieri intrusivi si trasformino in ricordi piuttosto che in esperienze ritraumatizzanti».

Paesi in-sicuri

Il 71 per cento dei e delle pazienti presi in carico dall’ambulatorio palermitano ha tra i 18 e i 33 anni, con un’età mediana di 25 anni. Sono soprattutto uomini (il 75 per cento del totale) e provengono da venti diversi Paesi, in particolare da Bangladesh, Gambia, Costa d’Avorio, Camerun e Nigeria. Il 36,5 per cento degli episodi di torture sono avvenuti in nove Paesi che sono designati come sicuri ai fini del rimpatrio dal governo italiano e dalla commissione europea (Algeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Tunisia e Senegal). C’è chi è stato torturato nel Paese di origine e chi in quelli di transito, anche più di uno. Alcun persone hanno subito abusi sia a casa loro che durante il viaggio. «Per tutta la vita ho subito la violenza di mio fratello – racconta una paziente arrivata dalla Tunisia – Mi ha costretta a sposare un suo amico. Quando mi sono rifiutata, mi ha picchiato così tanto da lasciarmi in fin di vita. Ho pure perso il bambino che aspettavo». Un uomo originario del Camerun racconta invece di essere stato costretto a «prendere dei vetri rotti e stringerli tra le mani».

Disumane torture

Tra i Paesi in cui le torture sono all’ordine del giorno c’è senza dubbio la Libia. «Hanno violentato mia moglie davanti a me – racconta un uomo originario del Camerun che è passato per lo Stato del Nord Africa – Mi hanno torturato ogni volta che ho provato a ribellarmi e mi dicevano che l’avrebbero uccisa, se non obbedivo». C’è chi in Libia è andato costretto dalla necessità di cercare un lavoro che gli permettesse di pagare un debito contratto per sottoporsi a delle cure mediche in Bangladesh. «Lì sono stato segregato e torturato. Mi picchiavano perfino sotto i piedi». Una pratica di tortura – conosciuta con il nome di falanga – che infligge traumi contusivi ai piedi che causano difficoltà nella deambulazione e, in certi casi, perfino disabilità cronica. «Dopo avere perso mia madre, sono stata affidata a una famiglia che mi ha picchiata e maltrattata», racconta una donna originaria del Mali, scappata dal suo Paese per evitare alla figlia una forma di violenza a cui lei era già stata sottoposta. «Ho deciso di andarmene per proteggere mia figlia dalle mutilazioni genitali. Non volevo che succedesse anche a lei. Ma in Libia sono stata venduta a un uomo che mi violentava continuamente, mi ha lasciata andare solo quando sono rimasta incinta e non gli servivo più».


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