Token, quattro protagonisti tra rischio carcere e soldi Meschinità umana in uno spettacolo che scorre veloce

Con i soldi si può davvero comprare tutto? È questo l’interrogativo che c’è al centro di Token, spettacolo in scena al teatro Angelo Musco di Catania, scritto e diretto da Francesco Maria Attardi e prodotto da teatro Mobile Catania e Gags. Attorno a questa domanda, semplice in apparenza ma decisamente insidiosa, ruota tutta la vicenda che ha per protagonisti Giovanni, Alberto, Loretta e Stefano (Giovanni Arezzo, Francesco Maria Attardi, Francesca Ferro e Alessandro Idonea). I quattro, oltre che amici, sono anche soci di una grande e ricca società di tecnologia, la Cats & Fox che, a causa di alcuni comportamenti non proprio legali e trasparenti, si ritrovano a rischiare di dover passare i prossimi 10 anni in carcere.

Nel tentativo di risolvere in qualche modo la situazione, Alberto, amministratore delegato dell’azienda, mette a punto un’idea: fare ricadere solo su uno dei quattro le colpe di tutti. C’è però un problema: chi dei quattro? Si spiega così il coinvolgimento del signor Carlo Restivo (Totino La Mantia). Toccherà a lui, in qualità di mediatore, fare in modo che si raggiunga un accordo per scegliere chi dei quattro deve andare in galera per salvare gli altri. Mentre al piano di sopra una delle dipendenti, Federica, festeggia il proprio matrimonio, nel magazzino dell’azienda si svolgono le contrattazioni.

Liti furibonde, porte sbattute in faccia, schiaffi e spintoni – a stento coperti dalle note festose di Raffaella Carrà – esplodono violentemente, mentre ciascuno dei quattro soci dà il massimo di sé per difendere la propria individualità. Man mano che i personaggi rivelano la propria indole agli spettatori, si scoprono gli altarini e saltano fuori tutti contrasti irrisolti. Chi, meglio di tutti, potrebbe sopportare il dolore di mandare gli altri in carcere? Chi, fra tutti, è realmente necessario per mandare avanti l’’azienda? Chi, più di tutti, è utile per la propria famiglia? Sono queste le domande alle quali i personaggi sono chiamati a rispondere, ora con estrema freddezza, ora con non poco turbamento.

Lo spettacolo scorre in maniera veloce e disinvolta e, anche se mostra solo in parte il pathos che ci si aspetterebbe di trovare andando a teatro, riesce a mettere in mostra la meschinità dell’essere umano che davanti al rischio è spinto a fare di tutto pur di preservare la propria sfera personale. Il tutto in una dimensione fortemente reale che ha poco del sapore della messinscena e molto del gusto della vita vera. Per lo spettatore, alla fine, diventa inevitabile chiedersi: «Io cosa avrei fatto?» o meglio «quanto sarei disposto a pagare pur di essere libero?». Si tratta di interrogativi ai quali è difficile dare una risposta, soprattutto se, come i nostri personaggi, si è troppo impegnati a dare un prezzo a tutto, trascurando le piccole cose che si hanno accanto. La storia ha ovviamente un finale, ma un dubbio resta: i soldi fanno la felicità? Ai posteri l’ardua sentenza.


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