Tiziana Ferrario: «Media in libertà vigilata»

Essere una donna, in Italia, non significa solo voler fare la velina. Lo assicura Tiziana Ferrario, volto storico del TG1, al centro delle recenti polemiche che hanno investito insieme a lei, proprio in questi giorni, Augusto Minzolini, che di quel telegiornale è il direttore.
L’antefatto è noto: Paolo Di Giannantonio, Piero Damosso e Tiziana Ferrario sono stati rimossi dai loro incarichi. I tre «dissidenti» erano tra i giornalisti che non avevano firmato un documento a favore di Minzolini a seguito delle critiche mosse al tg dopo che, in relazione al caso Mills, s’era parlato di «assoluzione» e non, come sarebbe stato corretto, di «prescrizione». Al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, Step1 ha intervistato la Ferrario.
 
Lei è un volto storico del telegiornale italiano. Cosa significa essere donna nell’Italia di oggi, che sembra esclusivamente quella delle veline e delle escort?
«Non è che la maggioranza delle donne faccia la velina o desideri fare la velina. Io vedo che le donne si danno da fare, le università sono piene di donne che scelgono facoltà che anni fa erano impensabili. Quella è una piccola parte del Paese che vuole prendere delle scorciatoie. Io penso a tutte le altre donne che si danno da fare e che approdano con successo al mondo del lavoro. Il punto è che i problemi cominciano lì: forse in Italia non c’è abbastanza aiuto per le donne quando iniziano a confrontarsi col mercato, ad avere dei figli, a dover conciliare la vita professionale con quella familiare e con la loro realizzazione personale. Non esistono solo le veline, esistono ragazze che vogliono fare altro e bisogna aiutarle».
 
Ragazze che vogliono fare le giornaliste. Come vede lei il futuro della professione?
«È un futuro abbastanza incerto, perché il nostro è un Paese dove non si legge molto e bisogna trovare nuove soluzioni per far funzionare anche i nuovi media. Se c’è la passione bisogna scegliere la passione, io sono di questa idea. Solo così si riesce a fare bene il proprio mestiere».
 
La Rai è spesso al centro di polemiche per via dei metodi di assunzione non proprio chiari. Prima di riuscire a fare il mestiere bisogna entrare nel mondo della professione…
«Il problema non è tanto che ci siano parenti o familiari, ma che bisogna garantire degli standard minimi anche per il futuro, che bisogna dare degli stipendi che siano quantomeno dignitosi. E questo non è solo un problema della Rai, ma un problema complessivo. Anche i giornali non offrono tante garanzie. È un momento molto complicato. Credo che per avere una stampa veramente libera la gente debba poter lavorare serenamente, senza sentirsi, ogni volta, sotto ricatto».
 
A tal proposito, la cronaca di questi giorni la vede al centro dell’attenzione per via dell’«epurazione» che ha subito, assieme a Di Giannantonio e Damosso. Siete stati rimossi dalla conduzione dei tg e Minzolini ha risposto alle vostre critiche dicendo che si lavora anche senza condurre e verificherà la vostra produttività…
«Posso dire soltanto che è un’uscita abbastanza di cattivo gusto».
 
Minzolini aveva dichiarato che si sarebbe trattato solo di uno spostamento e che vi avrebbe dato un nuovo ruolo, giacché era nelle sue intenzioni rinnovare il tg. Lei ha ricevuto un’offerta alternativa?
«No. Tra l’altro hanno messo al posto mio un conduttore che già faceva il telegiornale delle 20, quindi non mi sembra ci sia stato un grande rinnovamento».
 
Crede che si sia voluto soltanto allontanare i giornalisti dissidenti?
«Questo bisognerebbe chiederlo a Minzolini. Certo, il metodo non è stato dei migliori».
 
Lei ha parlato di una redazione «mai scesa così in basso». Il TG1, però, ha già avuto direzioni particolarmente vicine alla destra…
«Non è una questione di destra o di sinistra, ma di clima avvelenato. Quando si prendono dei colleghi e non si fanno più lavorare questo significa scendere molto in basso, significa non avere voglia di dialogare né di confrontarsi».
 
Si è parlato del fatto che il 30% di ascolti, per il TG1, non sono più un’eccezione negativa, ma quasi un risultato al quale aspirare…
«Il TG1 va migliorato, perché così non funziona. Abbiamo perso più di un milione di ascolti: la soglia del 30% era una soglia sotto la quale noi abbiamo sempre avuto paura di scendere. Ormai, in discesa, l’abbiamo superata abbondantemente».
 
Riferendoci al caso della parola «assoluzione» usata al posto di «prescrizione» in relazione al caso Mills, la notizia è stata data in maniera evidentemente distorta.
«Credo che bisogni dare retta alle oltre duecentomila persone che chiedono una rettifica. Quelli sono i nostri ascoltatori e noi abbiamo il dovere di prestar loro attenzione».
 
La quantità di servizi più leggeri, al telegiornale, è aumentata di molto negli ultimi tempi. È un tentativo di colmare dei vuoti?
«Anche questo bisognerebbe chiederlo a Minzolini, giacché è lui a decidere che scaletta di giornale seguire, quindi la valutazione è sua. Io credo che ce ne siano un po’ troppe, di notizie leggere, e che sia forse il caso di bilanciarle meglio».
 
Alla luce delle politiche di questo Governo, quale crede sia lo stato dell’informazione in Italia?
«La libertà di stampa c’è in Italia, non c’è un bavaglio. È una libertà un po’ vigilata, soprattutto rispetto al disegno di legge sulle intercettazioni che si vuole far passare. Questo crea dei grossi problemi ai giornalisti. Credo che sia eccessivo e che ostacoli tantissimo il nostro lavoro e la possibilità della gente di capire».
 
Non è che quello che si vuole è che la gente non capisca?
«Mi auguro di no».
 
È l’augurio, ma il pensiero?
«Il mio pensiero da giornalista è che vorrei poter pubblicare tutto quello che succede e che ho tra le mani. Credo che le intercettazioni vadano utilizzate in modo intelligente e con buon senso, e che siano strumenti di lavoro».


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