Tifoserie amiche: perché no?

Se l’orizzonte è uno stadio vivibile, in cui godersi uno spettacolo sportivo, senza tensioni né filo spinato, come accade in altre parti del mondo, il calcio italiano non può che recitare il mea culpa. A testimonianza di ciò il fatto che ogni domenica, puntualmente, assistiamo a disordini e lanci d’oggetti in campo, ed ogni tanto ci scappa qualche ferito.

Ad essere maggiormente danneggiate da questo vergognoso comportamento sono le società, punite con pesanti ammende e, stante l’ultimo giro di vite del Governo, penalizzate anche dal punto di vista sportivo. La domanda che ci poniamo sorge allora spontanea: è possibile educare i tifosi alla non-violenza e al rispetto reciproco? Sì, questa potrebbe essere una strada percorribile. Ma si tratta di un procedimento lungo e complesso, che dovrebbe partire da una profonda base culturale. Non bisogna infatti dimenticare che il calcio è nato per unire emozioni, pubblico, spettacolo e, soprattutto, fair play. Ed è proprio da questo principio che bisognerebbe partire per restituire al calcio credibilità. I tifosi stessi potrebbero essere i principali protagonisti di questo mutamento.

Alcuni club stanno cercando, già da diversi anni, di portare i propri ultras ad impegnarsi sempre di più in prima persona per tentare di superare le barriere della violenza tramite il gemellaggio. Se, ad esempio, quelle di Catania e Genoa sono da considerarsi “tifoserie amiche” è anche perché le due città sono in stretto rapporto tra loro (in questo caso un elemento che forse influisce è la collaborazione tra le Università delle due città). Ciò significa che, trovando dei punti di accordo tra le tifoserie o, appunto, tra le città è possibile combattere la violenza. Allo stato attuale sono ancora pochi i club che vanno avanti per questa direzione. Ma se questi pensassero di promuovere maggiormente l’iniziativa, si potrebbero evitare le multe (che gravano notevolmente sui loro bilanci) e gli incidenti sugli spalti. Alla base di questo discorso ci sta naturalmente la volontà, perché se questa viene a mancare è inutile auspicare progressi importanti.

I calciatori stessi, che vivono più a stretto contatto con i tifosi, dovrebbero contribuire anche loro in tal senso. A questo proposito, una tiratina d’orecchie va fatta a Paolo Di Canio, che nell’ultimo derby della capitale ha fatto scatenare le ire di tutti con la frase: “godo anche per i diffidati”. “Dicendo questo – sostiene il prefetto di Roma Achille Serra – il giocatore ha preso le distanze dalle forze dell’ordine, persone che rischiano la vita per garantire la sicurezza di tutti. Non mi pare un comportamento giusto, così non si fa altro che schierarsi dalla parte sbagliata, quella dei violenti”. Sicuramente Di Canio ha esagerato un po’ in quella frase, ma crediamo nella buona fede del ragazzo, che (è giusto ricordarlo) ha vinto il premio fair play in Inghilterra.

Il gemellaggio tra le tifoserie di tutta Italia ha le potenzialità per essere uno strumento efficace, che possa finalmente dare un calcio alla violenza. Il campionato italiano è considerato uno dei più entusiasmanti al mondo per qualità e tecnica. Impegniamoci tutti nel nostro piccolo a rendere il clima più sereno e uno stadio vivibile. Soltanto così potremmo finalmente godere di uno spettacolo puro.

Livio Giannotta

Redazione Step1

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