“The Shadow Dancer”. La fiera del convenzionale.

Titolo: The Shadow Dancer. Regia, soggetto e sceneggiatura: Brad Mirman. Fotografia: Maurizio Calvesi. Musica: Mark Thomas. Montaggio: Eddie Hamilton. Interpreti: Harvey Keitel, Joshua Jackson, Claire Forlani, Giancarlo Giannini. Produzione: Movieweb/ Istituto Luce/Studio Eight/Close Up. Origine: Italia/UK/Francia 2005. Durata: 90’.

“Shadow Dancer”, ovvero tutto quello che già avete visto al cinema per migliaia di volte e che non avevate nessun voglia di rivedere. Questo in pratica il sunto tematico del film di Brad Mirman andato in scena giovedì per la sezione del TaoFF “Grande Cinema al Teatro Antico” (e più si va avanti con i giorni di programmazione e tanto maggiore appare ridicola la denominazione di questo spazio serale del festival).

Toscana, giorni nostri. Il giovane editore inglese Jeremy Taylor si reca, su mandato del suo superiore, nel microscopico paesino di Rocca Torcia, per cercare di convincere il grande scrittore Weldon Parish, fuori attività da venticinque anni, a firmare un nuovo contratto di pubblicazione. Dall’amicizia che nascerà tra loro, i due matureranno una nuova visione della vita, trovando, lo scrittore, una rinascita artistica e l’editore, l’amore della sua vita (ovviamente figlia del romanziere).
Praticamente il mercato del convenzionale. Non esita sequenza in “The Shadow Dancer” che anche lo spettatore in assoluto più digiuno di cinema non riesca ad immaginare durante la visione di quella precedente. Insopportabili sono poi tutti i luoghi comuni che il regista inserisce nella pellicola per descrivere un’Italia romantica ormai seppellita da tempo, dove ancora si usano le macchine da scrivere, i grammofoni ed i treni a vapore. Inoltre il film appare vuoto narrativamente, perché i contrasti che dovrebbero esistere dentro e fuori i personaggi e che dovrebbero animare la vicenda, sono praticamente inesistenti. Non ci dilungheremo oltre nel descrivere tutta la serie infinita di banali superficialità che esistono all’interno di questa traballante opera perchè queste righe si allungherebbero in maniera imbarazzante, basta solo aggiungere però che il regista ci tiene a raccontare in modo credibile come in un paesino in cui ancora il falegname usa per lavorare una piallatrice manuale di medioevale memoria, la maggior parte degli abitanti, tuttavia, dall’oste alla nonnina del mercato, parlino tutti un ineccepibile oxfordiano inglese. Capiamo la necessità di vendere questo prodotto cinematografico al mercato inglese e che per fare ciò sia necessario la descrizione di un’Italia romantica patria di “santi, poeti e navigatori”, ma alle licenze narrativo-commerciali dovrebbe esserci comunque un limite.
Di positivo nella pellicola solamente le situazioni ed i tempi comici, retti per intero dalla bravura fanfaronesco-recitativa di quei due grandi attori che sono Giancarlo Giannini e Harvey Keitel.


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