Diciotto anni, il sogno di diventare neurologa e l'idea di farcela solo con le sue forze. Chiara Riscica ha studiato al Convitto Cutelli e da qualche giorno ha iniziato un corso di studi in Belgio. Prima di partire, però, ha scritto al presidente della Repubblica. Scatenando le risposte di economisti di fama nazionale
Test Medicina, studentessa etnea scrive a Mattarella «A Catania è un bel business, ma è incostituzionale»
«Signor presidente, la cultura non si preclude a nessuno». Chiara Riscica, 18 anni, neodiplomata al convitto Cutelli, ha scelto di scrivere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere una moratoria sui test di accesso alla facoltà di Medicina. Una lettera spedita via email e pubblicata su Il fatto quotidiano, alla quale ha risposto perfino l’economista di fama nazionale Michele Boldrin, ex leader di Fare per fermare il declino (il movimento spesso ricordato per il curriculum gonfiato di Oscar Giannino) e noto per aver proposto l’abolizione del liceo classico dalle scuole italiane. «Dopo i deportati, tocca ai forzati allo studio. E guarda caso gli indicatori antropologici sono gli stessi», scrive Boldrin sulla sua pagina Facebook. «Non sapevo chi fosse – ammette Chiara Riscica – Ma se il suo riferimento è al fatto che vengo dal Sud mi pare che stia sbagliando. A me studiare piace».
Catanese, più grande di due figlie, si è appassionata alla Neurologia quando ha iniziato a studiare il cervello in Biologia. «Da quel momento è sempre stato una fissazione – dice – Se avessi capito che volevo fare la neurologa un po’ prima probabilmente non avrei scelto il liceo classico, ma comunque non è una scelta della quale mi pento». Nella sua lettera a Mattarella, Chiara cita la Costituzione, ricordando gli articoli 3 e 34, che parlano dell’uguaglianza di tutti i cittadini e del diritto di accesso agli studi. «Nel caso di Medicina, però, le cose vanno in maniera diversa – sostiene – I test di ammissione sono troppo difficili e la preparazione che dà il liceo non basta a sostenerli. Per questo quasi tutti gli aspiranti medici, a partire dal quarto anno delle superiori, iniziano a fare i corsi a pagamento. Ma chi non se li può permettere? È incostituzionale».
La preparazione agli esami di ammissione all’università in Italia è un business che muove milioni di euro. «I miei compagni di scuola hanno pagato migliaia di euro per apprendere un metodo di studio e per approfondire argomenti che alle scuole superiori non possono essere trattati col livello di dettaglio richiesto dal test», prosegue la studentessa. «Io mi sono rifiutata di iscrivermi: spendere tutti quei soldi mi sembra immorale». Così ha iniziato una preparazione privata, fatta solo di libri e ricerche, alla quale somma l’aiuto di suo padre, professore di Sistemi alle superiori. «A essere in difficoltà non sono solo io che ho fatto il classico, ma anche i miei coetanei che hanno fatto lo scientifico».
Per questo, approfittando anche delle conoscenze di lingua francese che le ha dato il convitto Cutelli, ha deciso di fare un periodo di preparazione fuori dall’Italia. In Belgio, nello specifico, dove sta seguendo dei corsi propedeutici all’ammissione a Medicina. «Sa quanto costa? – domanda, ironica – Ottanta euro». Un risparmio al quale si somma l’esperienza all’estero. «E nonostante la spesa per andare fuori non ho comunque speso quanto avrei fatto se mi fossi iscritta ai corsi». In ogni caso, però, lei non ne ha mai fatto una questione economica: «Non dipende certo dallo stato della mia famiglia o dei miei genitori: io sono contraria, è un business eccessivo e, a mio avviso, il sistema è sbagliato. Perché avrei dovuto sovvenzionare qualcosa in cui non credo?».
La soluzione, per lei come per molti altri, sarebbe un sistema universitario alla francese: «Lo sbarramento avviene dopo il primo anno, sulla base di quello che hai studiato all’università». Una proposta avanzata da più parti e a più riprese. «Creare disuguaglianza è sempre scorretto, per quanto mi riguarda – aggiunge la 18enne – Non è solo il test il problema, è tutto quello che ci sta dietro e che causa un senso di esclusione che non dovrebbe esistere. Mi è stato detto che voglio la strada spianata, ma non è così: in Francia non è che tutti diventano medici». E a chi le dice che non ha abbastanza voglia di rimboccarsi le maniche e sudare sui libri, risponde: «Non sono una scansafatiche: mi sono diplomata con la lode mentre studiavo chitarra al Conservatorio. E non ho paura di trovarmi in difficoltà per una carenza di basi scientifiche: devo studiare più degli altri, ma so di potercela fare».
Lei ai test di Medicina del prossimo 3 settembre parteciperà: «Sarà difficile entrare ma proverà ugualmente. Come prima opzione ho indicato Bologna, poi ho messo Siena e Firenze, e poi Catania». Il capoluogo etneo per via di «un sistema sanitario particolarmente sregolato in Sicilia – commenta – Se devo guardare in prospettiva, preferisco trovarmi in una città in cui gli ospedali funzionano meglio. Sarà un trauma lasciare le mie origini e la mia famiglia, ma devo farlo». Se non riuscisse ad accedere, però, la strada segnata è già quella dell’estero. «Voglio rimanere in Italia per aiutare il mio Paese, in futuro. Ma se è il nostro Paese a non metterci nelle condizioni di farlo che scelta abbiamo?».