Terrorismo, radicalizzazione in carcere e rimpatri «Frontiere chiuse? Servono più controlli in strada»

«Ci muoviamo tra posizioni ideologiche lontane dalla realtà». È questo il pensiero di Marco Lombardi, docente dell’Università Cattolica di Milano e direttore della rivista Sicurezza, Terrorismo e Società. L’argomento è quello che sta monopolizzando maggiormente l’attualità: cosa fare dopo l’attacco al mercatino di Natale di Berlino e la fuga in Italia di Anis Amri, ucciso nel piazzale antistante la stazione di Sesto San Giovanni, a Milano. 

Anche in questo caso, così come accaduto dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles, da più parti è arrivato l’appello alla revisione degli accordi che da anni regolano la circolazione delle persone all’interno dell’Europa. A partire da quello di Schengen. «Quella di ripristinare le frontiere è un’esagerazione che non ha senso», commenta Lombardi, aggiungendo però di essere favorevole a un aumento dei controlli. «Bisogna prendere coscienza del fatto che il nemico ce lo abbiamo oramai in casa, e ciò deve portare a un potenziamento della prevenzione. Ma per assicurare un’attività del genere non è necessario rimettere su le frontiere – specifica il docente – anche perché è chiaro che si possano pianificare comunque particolari controlli nei valichi dove un tempo sorgevano le frontiere». 

E se c’è chi in maniera strumentale aizza gli animi in chiave anti-europea, per l’esperto esiste un’altra visione altrettanto poco attinente all’attualità: la tesi per cui i terroristi non possano arrivare mescolati tra i migranti. «Questa è un’altra ideologia smentita dai fatti – prosegue Lombardi -. Non significa che automaticamente un migrante è un sospetto terrorista, ma che il terrorismo cerca di sfruttare a proprio vantaggio i canali di migrazione». Un esempio, in tal senso, sarebbe proprio quello rappresentato dal 24enne tunisino che ha ucciso dodici persone a Charlottenburg. «Amri è arrivato nel 2011 proprio con uno dei tanti sbarchi», ricorda il docente. 

Anche se, è bene ricordarlo, si sarebbe radicalizzato proprio in Europa, non prima. Tuttavia, non è chiaro quando e dove: se in una delle tanti carceri siciliane in cui è passato o dopo aver lasciato l’Italia. «Quella delle carceri è una situazione particolare – spiega -. Esistono tanti casi (a Rossano Calabro per esempio, ndr), dove i detenuti sospettati di terrorismo vengono raggruppati. Questa scelta da alcuni viene vista come un argine alla diffusione del proselitismo, mentre per altri causa inevitabilmente un rafforzamento delle posizioni estremiste, escludendo la possibilità di cambiamenti che potrebbero verificarsi con la frequentazione di persone non radicalizzate. Qual è la via migliore? Non è semplice – ammette Lombardi – anche se io propendo più per la seconda».

Quello su cui l’esperto, invece, non ha dubbi è la necessità di perfezionare i respingimenti. «Inutile girarci attorno: chi non ha i requisiti per fare richiesta di asilo va respinto – taglia corto -. Oggi tutto è regolato con accordi bilaterali tra i singoli Paesi, ma spesso non portano ai risultati attesi. Anche perché forse alla Tunisia sapere che uno come Amri, presunto sostenitore del gruppo Ansar Al Sharia, fosse in Italia faceva comodo». Per Lombardi, i respingimenti funzionano poco anche perché in molti casi i governi delle nazioni in cui i migranti dovrebbero ritornare non si impegnano a sufficienza. «Forse è giunto il momento che l’Unione europea faccia pressioni diplomatiche contro chi si sottrae ai propri doveri, a partire dal taglio dei rapporti economici e turistici. Se non compriamo più olio tunisino – attacca l’esperto – forse il governo di Tunisi inizierà a collaborare di più».

Parlare dei respingimenti, però, comporta inevitabilmente una riflessione sulle esigenze umanitarie di centinaia di migliaia di persone e sulle regole che stabiliscono quando un migrante ha diritto all’accoglienza o meno. Gli accordi europei l’impossibilità di chiedere l’asilo a chi proviene da Paesi – la Tunisia è una di queste – in cui non sono riconosciute dalla comunità internazionale guerre e persecuzioni nei confronti di minoranze etniche, riconducendo così alla sola motivazione economica il motivo dell’emigrazione. «Mi rendo conto che possono esistere casi individuali in cui essere considerai migranti economici è riduttivo, però non possiamo fare a meno di ragionare su accordi tra nazioni». Linea di pensiero che potrà far storcere il naso a quanti antepongono il desiderio di prestare innanzitutto soccorso a chi si mette in mare, ma che per Lombardi non significa stigmatizzare l’Islam. «L’integrazione deve rimanere la strada da percorrere, ma non bisogna fare l’errore di pensare che rinunciando alla nostra identità facilitiamo il processo». 

Infine, la domanda che tutti si pongono: quanto è sicura l’Italia oggi? «Il nostro Paese continua ad avere un numero basso di radicalizzati rispetto ad altre nazioni europee, ma è anche vero che Amri era tornato a Sesto perché forse poteva contare su una rete di copertura. Tutti aspetti che andranno approfonditi». Mentre per l’esperto non ci sono dubbi sulla qualità delle nostre forze di polizia. «Amri trovato per un colpo di fortuna? È vero, ma una fortuna resa possibile dal fatto che abbiamo persone che controllano il territorio. Il tunisino era riuscito ad attraversare Germania e Francia senza che – conclude Lombardi – qualcuno lo notasse».


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