Terremoto, i piani di emergenza sono aggiornati? Esperto: «Bisognerebbe svecchiarli annualmente»

«Aggiornato? Be’, aggiornato non ce l’ha nessuno». Fabio Tortorici è tranchant quando gli si chiede dei piani di protezione civile dei Comuni colpiti dal terremoto di Santo Stefano. Il geologo, che presiede la Fondazione Centro studi del consiglio nazionale di categoria, è dell’idea che quei documenti – che hanno il compito di produrre risposte alle emergenze che tengano conto delle specificità dei diversi territori – vadano aggiornati anno per anno. A parte Santa Venerina – che ha svecchiato la sua pianificazione nel 2017 – nel Catanese ci sono solo due casi di aggiornamento al 2015 (San Pietro Clarenza e Belpasso), e ancora tre risalenti al 2014. Tutti gli altri sono precedenti al 2013, compresi quelli stilati da città a rischio come Zafferana Etnea e Acireale. Ma perché è così importante avere il piano in ordine? «Basta che cambi un senso unico – aggiunge Tortorici – che le modalità di intervento degli automezzi si modificano. A innovarlo ogni anno sostituendo quelle due tre virgole non è che ci voglia granché». 

«Dal punto di vista strettamente sismico – prosegue – l’intensità del terremoto è stata medio bassa. Non è accaduto nulla di grave, e meno male. Ma se il fenomeno fosse stato più violento, i piani non aggiornati avrebbero rallentato la reazione degli enti pubblici. E teniamo in conto che è rimasta chiusa per qualche tempo anche l’autostrada Catania-Messina». Il piano forse più interessante da valutare alla luce del combinato disposto eruzione-terremoto è quello di Zafferana Etnea. Come di consueto, tra le tante informazioni presenti spicca l’uso che il Comune fa di alcuni suoi spazi o strutture, nella distinzione tra aree di attesa, di ricovero e di ammassamento

Le prime – in cui i cittadini ricevono accoglienza e le prime informazioni sul terremoto – sono state individuate nelle piazze Kennedy, della Regione Siciliana, Umberto I, Mattarella, Petralia, Verga, Russo, San Giuseppe, del Redentore e Belvedere Ionico. Nelle aree di ricovero, invece, vengono allestiti i primi alloggi per la popolazione colpita. A Zafferana sono il campo sportivo di viale dello Sport, la palestra e il campetto della scuola media di via delle Scuole, la piazza del mercato dell’Etna in via Rocca d’api e i campetti da tennis in via Enrico Fermi, a Fleri. Quanto alle aree di ammassamento – dedicate ai soccorritori e ai loro mezzi – sono localizzate allo stoccaggio provvisorio della raccolta differenziata (via dello Sport) e al centro polivalente di Fleri, in via Mangano. Naturalmente, il provvedimento elenca anche i percorsi più sicuri per raggiungere ognuno di questi luoghi. 

Un’altra città che ha incassato conseguenze dal terremoto è Acireale. Qui, come detto, l’ultimo aggiornamento del piano risale al 2013. Il documento elenca i nodi critici del territorio (torrenti, strade senza sbocco, strade con un solo collegamento e così via), le vie di fuga, i piani operativi allineati ai diversi tipi di rischio (sismico, idrogeologico, maremoto eccetera) e le aree ricavate per i cittadini e per le organizzazioni di assistenza alla popolazione. Considerato il numero di abitanti quasi quintuplo rispetto a Zafferana, le aree di attesa sono 55, dislocate nelle numerose frazioni a monte e a mare. Le zone di ricovero sono 23: su tutte c’è il Centro operativo misto di corso Italia, con un ampio piazzale. Infine, l’unica area di ammassamento si trova nella frazione marinara di Capo Mulini, un vasto parcheggio inutilizzato. 

«Quando sono arrivato io – dice il sindaco di Acireale Stefano Alì – nel piano c’erano ancora i nomi di gente che non lavorava più al Comune». Quanto all’aggiornamento continuo della pianificazione di emergenza, Alì segnala un problema piuttosto diffuso: la carenza, negli organici comunali, di figure professionali adatte. «Per tutte le cose ci vuole il personale – ammette il primo cittadino – lo puoi anche aggiornare, ma senza i professionisti di settore lo aggiorni male».

Ci sono ancora due Comuni che si sono ritrovati a ballare discretamente la notte del 26 dicembre. Il primo è Aci Sant’Antonio, che si trova a pochissimi chilometri dall’epicentro del terremoto, e che oggi deve assistere circa 120 sfollati. «Il piano – spiega il sindaco Santo Caruso – lo abbiamo rivisto nel corso del mio primo mandato, nel 2014». Santa Venerina, invece, ha svecchiato nel 2017 sia il piano generale che il fascicolo sulla ripulitura della cenere lavica. Ma, a detta degli esperti, l’attenzione della politica su questi temi non è ancora sufficiente. «Con il Centro studi che dirigo – ricorda Tortorici – il 7 luglio di quest’anno abbiamo organizzato un convegno sul tema della pianificazione delle emergenze. In quell’occasione abbiamo invitato 14 sindaci per una tavola rotonda. Tra loro – conclude il geologo – ne sono intervenuti soltanto tre. E chi è venuto ha fatto chiacchiere e demagogia».


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