La notizia viaggia a mezzo social, attraverso i canali ufficiali dell’emittente di Partinico. Le reazioni di appassionati e non sono di incredulità e stupore. «Siamo stanchi, non si può andare avanti così», dice Pino Maniaci, che conferma: «Purtroppo non è uno scherzo»
Telejato chiude, «meglio vendere tutto» Pioggia di querele ormai insopportabile
«Stanchi, stanchi, stanchi. Siamo stanchi!». Stavolta non è la voce del solito Pino Maniaci, accorata, a tratti aggressiva. Stavolta no. È una voce spenta e rassegnata quella con cui si sfoga a MeridioNews. «Purtroppo non è uno scherzo, pensiamo davvero di chiudere». La notizia giunge inaspettata attraverso un breve comunicato. Cosa è cambiato tutto all’improvviso, per una testata e un direttore ormai abituati da anni alle querele per diffamazione? «Oggi ci hanno rotto i coglioni», dice Maniaci, che per un attimo sembra tornato quello di sempre. La notizia è stata resa pubblica qualche ora fa attraverso i canali social dell’emittente di Partinico. Tinte di stupore e incredulità fra i commenti al post: «Mi auguro sia solo un momento di sconforto, assolutamente comprensibile», dice Federica. Mentre Gabriele non riconosce, in queste parole, il tipico spirito combattivo della testata e del suo team, fino a Giuseppe che scrive: «Picciotti ma che dite! Ci sono stati tempi migliori, ma non dobbiamo mollare, la Sicilia onesta ha bisogno di voi», lanciando addirittura l’hashtag #pinononmollare.
«Abbiamo deciso che così non si può andare avanti. Meglio vendere tutto, meglio chiudere», si legge nella nota diffusa dall’emittente. Motivo? La pioggia di querele ricevute ormai con cadenza quotidiana e che non arrivano più da semplici cittadini, non solo almeno. Ad aggiungersi all’elenco sono infatti anche noti magistrati, funzionari ed elementi di spicco coinvolti nella gestione dell’ordine pubblico, giornalisti e addirittura amministratori giudiziari. «Il tutto in un impressionante attacco all’antimafia, nel tentativo di cancellarne l’esistenza – si legge – Ci querelano persino i mafiosi, anzi i presunti mafiosi, i quali, pur essendo stato loro confiscato il patrimonio per mafia, ci accusano di diffamazione perché non esiste una sentenza che li dichiari mafiosi».
Ma la lista si allunga ancora con l’Università Kore di Enna, che «si è sentita diffamata per l’inevitabile commento sulla laurea regalata al figlio della giudice Silvana Saguto. Tutti diffamati, e noi siamo i diffamatori – scrivono dalla redazione partinicese – Si aggiunga a tutto questo la difficoltà di portare avanti una struttura dove la macchina del fango azionata dai carabinieri di Partinico e dalla Procura di Palermo ha prodotto danni devastanti, molto più gravi di quanto non possano essere le diffide dei mafiosi ai commercianti, perché non facciano pubblicità attraverso Telejato». Querele e denunce che inevitabilmente continuerebbero a innescare un meccanismo che sta ormai colpendo ogni membro della redazione, senza risparmiare nessuno: «Tutto questo significa andare a cercarsi i legali, andare a sottoporsi agli interrogatori della polizia giudiziaria postale, perdere tempo e salire le scale dei tribunali».
Stupisce la reazione di Maniaci in primis, che da maggio dell’anno scorso, appena finito nel vortice dell’operazione Kelevra, non aveva fatto mistero della sua più forte convinzione: che lui, con il suo lavoro e il suo telegiornale, avesse dato fastidio a qualcuno di importante all’interno del tribunale di Palermo, a cominciare dalle denunce del famoso verminaio nascosto all’interno della sezione Misure di prevenzione e del cosiddetto sistema Saguto. Denunce che lo avrebbero trasformato in un bersaglio da fare metaforicamente fuori. Ha sempre pensato, Maniaci, che l’obiettivo ultimo, oltre che mettere fuori gioco lui, fosse quello di chiudere Telejato. Decisione che adesso, a sorpresa, arriva proprio dalla sua redazione: «Abbiamo creduto che qualcosa potesse cambiare attraverso questa voce libera. Ma invece non cambia e non cambierà nulla perché questa terra, per dirla con Sciascia, è irredimibile. Chi ci ama ci scusi. È stato bello».