Teheran, quote azzurre negli atenei

Chine sul focolare, avvolte in chador scuri ed impenetrabili a qualunque sguardo indiscreto, separate da tutti quei contatti con il genere maschile giudicati indizio di scandalosa promiscuità. Così l’Iran dei mullah ha voluto le sue donne. Almeno, così è stato fino ad un certo punto della sua storia. Perché oggi a Teheran le cronache registrano un episodio che non sembra affatto combaciare con la tendenza imperante. “Quote azzurre” introdotte a forza negli atenei iraniani per rimpolpare un corpo studentesco decisamente tendente al rosa.

Su cento studenti universitari, 60 sarebbero donne: una notizia che può far sorridere, inserita com’è in un contesto caratterizzato da una visione rigidamente patriarcale come quello dell’Iran. Si tratta invece di un fatto destinato a far discutere a causa delle implicazioni che sta già portando con sé. Nella Repubblica Islamica oggi sembra soffiare un vento nuovo; in molti si accorgono che un cambiamento particolare, a tratti temuto, ha già messo radici.

Lo sanno, ad esempio, tutti coloro che tornano con la memoria al 1997, anno dell’elezione del riformatore Khatami e della sua ondata di liberalizzazioni. Grazie a lui, ad esempio, fu permesso alle donne di accedere alla carriera di giurista, sebbene nel solo campo del diritto di famiglia. Ma ne sono consapevoli anche coloro che conservano ricordi di uno degli eventi-cardine della storia della Repubblica: la Rivoluzione Islamica del 1979. Perché quella data segnò un’inversione di tendenza significativa, consacrando le strutture patriarcali a modello di vita e, per contro, relegando la condizione femminile nell’ombra fino all’era Khatami.

Oggi tutto questo è già un ricordo. Teheran fornisce un esempio lampante, con donne impegnate nella direzione di giornali e reparti (femminili) di polizia, nell’ingegneria edile e nelle aziende ospedaliere. Non solo: le strade della capitale continuano a riempirsi dei foulard sempre più sgargianti delle studentesse, con alcune di loro che sfidano il regime sfoggiando impacciatamente pantaloni sempre meno informi e bluse meno lunghe del solito. E’ stato perfino inaugurato un parco pubblico nel quale le giovani donne possono praticare sport senza l’obbligo di indossare il chador.

Sono trascorsi ventinove lunghi anni dalla Rivoluzione, e l’Iran ha aperto gli occhi sull’unica risorsa che può salvare la sua ingombrante mole alla deriva dall’abisso: i giovani. Tre quarti degli iraniani non superano i trent’anni di età. Ciò significa, per loro, non avere alcuna memoria concreta della Rivoluzione, né tanto meno della sanguinosa guerra combattuta con il vicino Iraq negli anni Ottanta. I giovani iraniani non sentono il richiamo delle generazioni precedenti, e cominciano invece a rispondere ad un impulso di rigetto per molte delle restrizioni morali proprie di coloro che li hanno preceduti.

Nati in una società divorata da disoccupazione e inflazione galoppante, cresciuti all’interno di un clima diviso tra estrema rigidità delle regole sociali e culto del progresso, si indirizzano verso la formazione culturale, dando prova di una vitalità e di una creatività senza precedenti. In un paese nel quale il vertice del maggiore quotidiano riformista, “Shargh”, è in mano ad un giovane e brillante giornalista, e numerose sono le posizioni di rilievo detenute da suoi coetanei nel campo dell’informazione, non sorprende che a molte giovani iraniane sia stata concessa la possibilità di recarsi all’estero per soggiorni-studio.

Nonostante in molti avessero agitato lo spauracchio del consumo di droga, la gioventù non si è piegata alla piaga degli stupefacenti. I traffici provenienti dal vicino Afghanistan hanno certo mietuto un tributo spaventoso, costringendo circa tre milioni di persone alla dipendenza. Ma non hanno bruciato del tutto lo spirito giovane della Repubblica. Se disincanto per la politica e repressione della protesta studentesca hanno avuto effetti consistenti, lo stesso non può dirsi per la resistenza al regime dei mullah operata dal movimento femminista.

Le ragazze ci sono ancora. Non solo, si fanno sentire tanto da creare brividi di allarme nelle alte sfere del Parlamento di Teheran. Negli atenei il numero delle studentesse è infatti cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni. E’ lievitato tanto da raggiungere il 65 per cento sul totale degli studenti, con picchi registrati nella facoltà di medicina, indirizzi odontoiatrico e farmaceutico. All’università iraniana media accedono dunque meno di 40 ragazzi.

Immediata la reazione del governo dopo la presentazione di un rapporto preparato ad hoc da parte di una allarmata commissione parlamentare. Stando a quanto riportato nel documento, una mole così vasta di donne avrebbe generato nel futuro serie difficoltà di assorbimento nel mercato del lavoro. Prima della presidenza di Khatami le donne in grado di usufruire di un’istruzione accademica toccavano a stento il 37 per cento. Oggi, l’Iran che ha abbracciato quel progresso tanto disprezzato dai taliban, si trova a fare i conti con la sproporzione numerica delle donne nella sua popolazione accademica.

Verranno dunque introdotte nuove regole vincolanti già dalla prossima sessione di esami di ammissione, prevista per l’estate. In ogni facoltà sarà stabilita a tavolino una “quota azzurra” del 30 per cento. Ad essa sarà affiancata una “quota rosa” speculare. Il restante 40 per cento verrà lasciato alla libera competizione. Di fronte ad una preoccupazione ampiamente sbandierata tra i seggi della massima assemblea iraniana, si ricorre ad una misura che mostra già palesi segni di cedimento.

Basti un esempio: candidate che hanno ottenuto punteggi superiori ai loro colleghi potrebbero, sulla base delle nuove norme, essere escluse del tutto dall’accesso all’istruzione accademica. Con buona pace di coloro che, conservatori in testa, si dicono allarmati per la salvaguardia delle ragazze dai vizi sociali, e indignati per lo “spreco” di risorse investite per garantire istruzione ad una porzione così vasta del mondo universitario.


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