Teatro, gli attori sono ragazzi disabili e detenuti al 41 bis Nel carcere di Augusta abbracci sinceri e sguardi innocenti

Smile and Fly. Letteralmente, sorridere e volare. Sono queste le due parole chiave che hanno dato il titolo al progetto di laboratorio teatrale fra ragazzi disabili e detenuti del carcere di Augusta, in provincia di Siracusa. Dodici ragazzi con sindrome di down e ritardi mentali medi e gravi delle associazioni augustane Progetto Icaro e Asd Nuova Augusta insieme a venti detenuti reclusi in regime di alta sicurezza. «È stato un incontro emozionante fin dal primo momento», racconta a MeridioNews l’ideatrice e realizzatrice del progetto, Michela Italia.

«L’idea era quella di unire due mondi che, pensavo, non potevano che farsi del bene. E così è stato», dice Michela, 35enne di professione insegnante di sostegno. «I disabili vogliono bene senza limiti e sono goffi e sinceri nei loro abbracci e i detenuti avevano solo bisogno di contatto, di vita vera, di autenticità senza pregiudizi, di essere guardati in faccia con innocenza». Dieci mesi di prove per dare vita a uno spettacolo di teatro terapia nell’auditorium Enzo Maiorca della casa di reclusione della cittadina megarese. 

«Alcuni disabili hanno chiesto “che cosa devo fare per stare qui e avere una cella anche io?“. La domanda non ci ha preoccupati – afferma – perché semplicemente rispecchiava il clima quasi familiare che si era venuto a creare. Abbiamo risposto sempre cercando di non infondere in loro il germe del pregiudizio». Musiche, poesie e miniminagghie siciliane. È stato questo il linguaggio che ha unito i due mondi con la leggenda di ColaPesce e le storielle di Giufà (personaggio letterario della tradizione orale popolare della Sicilia e giudaico-spagnola), «famoso per essere intelligente ma anche sciocco, al punto di arrivare anche a delinquere. Non poteva esserci personaggio migliore – sorride Michela – per creare un punto di continuità».

Nei mesi di preparazione allo spettacolo, uno dei detenuti che è laureato all’accademia delle belle arti ha tenuto un corso durante il quale sono stati realizzati tutti gli attrezzi di scena con la carta pesta. «Ha voluto pagare i materiali necessari di tasca propria e si è dedicato con cura a questi ragazzi, anche perché è padre di un ragazzo con una grave disabilità», racconta Michela, spiegando che per la riuscita dello spettacolo finale a ogni detenuto è stato affidato un disabile. «I detenuti, tutti sottoposti al regime speciale del 41 bis per reati connessi all’associazione mafiosa, si sono sentiti per tutto il tempo del laboratorio responsabili nei confronti di qualcuno, e per di più di un particolare pezzo di società».

L’intero progetto è stato realizzato senza fondi, solo con il supporto della Croce Rossa per la serata finale. «Mi piacerebbe rifarlo il prossimo anno, anche se le difficoltà pratiche sono state molte: i ragazzi – spiega – hanno difficoltà a memorizzare, nonostante i suggerimenti dei detenuti. Dunque la mezza idea che ho in testa riguarda qualcosa che abbia più a che fare con la musica cantata e ballata. Se tutto questo è possibile – conclude Michela – è grazie al direttore del carcere, Antonio Gelardi, che coinvolge e sprona i detenuti in tante attività diverse, puntando sempre alla loro inclusione sociale». 


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