Sul palco del piccolo spazio culturale, nel cuore del centro storico, la storia vera tratta da un manoscritto autentico di 1027 pagine dove si racconta la vita durante quei giorni freddi e terribili. Scritto da uno dei ragazzi del '99 che hanno portato all'armistizio con l'Austria, ne viene fuori un'opera autentica e genuina
Teatro delle Balate, in scena Terra Matta Il diario di un soldato siciliano in guerra
Un uomo solo sulla scena. Piedi scalzi e solo una sedia di legno come scenografia. Povertà e miseria, come quella che hanno vissuto i soldati durante la prima guerra mondiale: i ragazzi del ’99, giovanissime reclute appena diciottenni da ricordare perché rinsaldarono le file sul Piave, permettendo al Regno la controffensiva che portò alla firma dell’armistizio di Villa Giusti da parte dell’Austria-Ungheria.
Tra questi Vincenzo Rabito, ragazzo siciliano che partì per la grande guerra e che in 1027 pagine dattiloscritte senza margini e un punto e virgola dopo ogni parola, racconta la sua vita all’interno della più ampia e drammatica storia del Novecento italiano. Da questo manoscritto è nato un libro e poi uno spettacolo teatrale: Terra Matta di e con Stefano Panzeri, attore leccese e ideatore del progetto sulla memoria migrante italiana Oltreoceano in scena al Teatro delle Balate ieri e oggi alle 21. Lo spettacolo Terra Matta 1 (1899-1918), primo di una trilogia, parte dall’omonima biografia del bracciante siciliano semianalfabeta. Uno spettacolo vero e genuino, come il ragazzo che lo ha scritto, allora neanche diciassettenne, vero come le lacrime di Panzeri durante il racconto toccante di quei giorni.
Terra Matta ha debuttato per la prima volta nel maggio del 2014, da allora ha girato numerose stagioni teatrali e festival italiani contando sinora 200 rappresentazioni. Panzeri porta sul palco la lingua grezza di Rabito, infarcita di sicilianismi, che si fa simbolo di un riscatto sociale per un “ragazzo del ‘99”, partito alla volta dell’Africa per “antare affare solde”, rincorrendo i sogni d’imperialismo coloniale della Grande Italia fascista. Terra Matta è un’opera monumentale, un documento autentico dell’Italia tra le due guerre, redatto in quattro anni su una macchina da scrivere Olivetti.
Un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso, come lo ha definito Andrea Camilleri, che Panzeri, alla prese con il linguaggio dell’autoscrittura, rappresenta sul palco in modo semplice ed essenziale lanciando allo spettatore un chiaro messaggio di ritorno all’oralità per reimparare ad ascoltare e raccontarsi. A tutto ciò, si aggiunge la memoria migrante, cui Stefano Panzeri ha dedicato un progetto teatrale itinerante di narrazione domestica. Dallo spettacolo è nato, infatti, nel 2015 il progetto Oltreoceano, sostenuto attraverso un crowdfunding: per un mese all’anno, usando lo scritto di Rabito e la narrazione come strumento di evocazione e di memoria, Panzeri ha portato Terra Matta nelle comunità italiane di Argentina e Uruguay e, per periodi più brevi, in quelle di Londra, Belfast, e Oxford così da raccogliere storie di migrazioni dalla viva voce degli italiani d’oltreoceano e oltremanica. Il progetto debutterà quest’anno anche in America e in Australia.
Le numerose testimonianze raccolte sono poi diventate parte della drammaturgia e si sono affiancate e intrecciate con la storia di Rabito in un montaggio di storie vere tra passato e contemporaneo. Ne è così nata una trilogia che ripercorre e racconta tutta la vita di Vincenzo e insieme raccoglie restituisce frammenti della memoria migrante italiana.
«Il diario di Vincenzo mi ha rubato il cuore e la tenacia – afferma Panzeri. – Credo che l’attualità del testo di Rabito sia l’utilizzo della scrittura come terapia: quasi una sorta di moderno storytelling. La sua è una lingua teatrale che si completa a gesti, dunque, non è stato difficile trasportarla sul palcoscenico. Per la sua teatralità e per il suo forte valore storico, la testimonianza di Rabito, scritta per dire “ecco, questo io sono”, mi ha affascinato al punto da farmi decidere di cimentarmi con una lingua non mia e farmi portatore di questo racconto di vita vera».