«Non lasciamoci spaventare. Abbiamo messo in pratica tutti i protocolli sanitari previsti per la sicurezza del pubblico e per la nostra. Venite a teatro, serve a voi e serve a noi ritornare a stare insieme». Alessandro Idonea invita così il suo pubblico a non abbandonare le sale in vista della nuova stagione. Attore, registra ma soprattutto figlio d’arte non ha di certo bisogno di presentazioni. Figlio del compianto Gilberto, morto nel 2018, si è formato alla Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania diretta da Lamberto Puggelli. In teatro, anche in compagnia del padre, ha calcato i più importanti palcoscenici italiani e non solo. Nel suo curriculum, oltre a film e fiction, anche l’impegno con l’associazione Gags (Giovani attori per giovani spettatori) di cui è tra i fondatori. Abbiamo discusso con lui di arte, pubblico e ripartenza.
Qualche giorno fa Catania, la tua città, ti ha visto protagonista de L’importanza di essere Idonea, un omaggio ai grandi padri del teatro siciliano, tra cui tuo padre. Cosa c’è dietro questo spettacolo?
«Nasce dalla necessità di volere ricordare quelli che sono stati gli anni d’oro del teatro catanese e di tutto quello che per noi rappresenta. Non potevo, ovviamente, non fare un omaggio a papà portando sulla scena tutto quello, o almeno una parte, che lui ha fatto durante la sua carriera in giro per il mondo. Non è insomma il ricordo del padre da parte di un figlio, ma il riconoscimento dell’eredità che ha lasciato a tutto il teatro».
Per Alessandro Idonea cosa significa chiamarsi Idonea?
«Come accade spesso c’è anche l’altra faccia della medaglia. Da un lato, sicuramente, il mio cognome mi ha aiutato perché mi ha aperto delle porte e mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con molta gente che già conoscevo perché amici di papà. Dall’altro lato, però, posso affermare che avere un cognome importante ha le sue conseguenze, nel bene e nel male».
Non dev’essere stato facile accogliere questa eredità…
«Allo spettacolo inaugurale della stagione 2018/2019, la prima dopo la scomparsa di mio padre, sono uscito in proscenio per salutare il pubblico come faceva sempre papà e la sensazione che ho ricevuto è stata contrastante. Ho sentito sicuramente molto affetto, ma ho anche visto un enorme punto interrogativo sui visi degli abbonati. Tutti si chiedevano, giustamente, se la stagione sarebbe potuta andare avanti con lo stesso livello artistico. Io spero di non aver deluso le loro aspettative».
A proposito di aspettative, come ha reagito tuo padre quando gli hai comunicato di voler fare l’attore?
«A dire la verità, non solo gli ho detto di voler fare l’attore, ma gli ho persino lanciato una frecciatina dicendogli anche di voler frequentare la scuola dello Stabile. La sua risposta non si è fatta attendere: “Eh vacci, vacci, tantu si scassu, non ti pigghiunu“. Forse è stata proprio questa frase che ha fatto scattare in me la voglia di andare avanti».
Poi però tu e tuo padre siete stati molte volte insieme sul palco. Qual è lo spettacolo che vi ha visto protagonisti al quale sei più legato?
«In realtà sono due. Il primo è Liolà di Pirandello con il quale abbiamo aperto la stagione qualche anno fa. È stata la prima volta in assoluto in cui mi sono trovato alla pari con mio padre. Mi ha dato la possibilità di interpretare il protagonista, mentre lui fece zio Simone; mi ha fatto uno dei regali più belli. L’altro spettacolo è Scuru di Nino Martoglio, testo difficilissimo che racconta il rapporto tra un padre e un figlio. Questo ci ha in un certo senso obbligati ad andare oltre il rapporto artistico e a trovare anche qualcosa di personale, per portarlo in scena».
Ricordi lontani, ormai, quelli dei teatri pieni. Come affronta tutto questo un attore?
«La mia è stata da sempre una categoria abituata a vivere precariamente perché può capitare di lavorare un mese a uno spettacolo e restare fermi quello dopo oppure, contemporaneamente, attivarsi per cercare già il prossimo lavoro. Oggi sicuramente tutto è diventato ancora più difficile e più precario. Quest’estate sono stati molti gli eventi che si sono tenuti non solo a Catania, ma anche in tanti paesi della provincia, e sicuramente questo fa pensare a un piccolo segnale di ripresa».
Troppo poco per considerarla una ripartenza?
«Mi chiedo se questi eventi siano stati realmente utili al nostro settore o se abbiano rappresentato solo una sorta di tappabuchi. Oggi, più che mai, fare teatro è diventato sempre più difficile, soprattutto farlo a un certo livello perché tutto presuppone dei costi non indifferenti. Io sono fra quelli che, fino a quando potrà, starà sul palco».
Oltre ai costi, quali sono le variabili che incidono sulla scelta degli spettacoli da inserire all’interno del cartellone di una stagione?
«Sicuramente si cerca si seguire il gusto del proprio pubblico, ma è anche vero che accontentare tutti gli abbonati, cinquemila persone nel nostro caso, è impossibile. Da quando non c’è più papà, scelgo da solo gli spettacoli e mi baso principalmente sul mio gusto e su quello che io vorrei vedere».
È vero che all’interno delle sale sono presenti quasi solo spettatori anziani e che mancano i giovani?
«Il pubblico, non solo nostro, è sicuramente avanti con l’età e questo, secondo me, dipende dal fatto che negli anni non c’è stato un lavoro di cambiamento teatrale e di educazione a un teatro diverso. Negli ultimi anni io sto provando a inserire nel cartellone, accanto ai grandi classici siciliani, anche qualcosa di nuovo. Durante l’ultima stagione, ad esempio, abbiamo messo in scena Polvere di stelle, una commedia musicale che è un omaggio ad Alberto Sordi e Monica Vitti. Con questo spettacolo ho provato a far vedere al mio pubblico che esiste anche qualcosa di diverso ma ugualmente bello e interessante».
Covid permettendo, hai già in mente la prossima stagione? Cosa c’è in cantiere per i prossimi mesi?
«Abbiamo riaperto il botteghino del Metropolitan per dare un segnale chiaro: il teatro c’è ed è vivo. Siamo in un momento di grande incertezza, ma la nuova stagione è pronta. In realtà lo era già l’anno scorso e io, in attesa di avere buone nuove, l’ho scritta a matita. Non vedo l’ora di tornare nel teatro che frequento sin da bambino e che, negli anni, è diventato casa mia. Spero che il pubblico, come ha sempre fatto, ci segua».
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