Il ddl sull'omicidio stradale all'esame della commissione Giustizia del Senato per la vedova di Roberto Cona, ucciso quasi due anni fa, è «un testo annacquato». Stop all'uso «irresponsabile» di cellulari alla guida. Il 9 giugno un nuovo sit-in perché il «garantismo non si trasformi in licenza di uccidere»
Tania e le vittime innocenti della strada Marina Fontana: «No a legge contentino»
«Vorrei abbracciare i genitori di Tania. Dire loro di essere forti, di chiedere e pretendere giustizia, ma di guardare con amore alla vita per trasformare il loro dolore in un esempio». Marina Fontana parla con la voce spezzata dalla commozione. Domenica mattina sull’asfalto di via Cordova, insieme al corpo senza vita della giovane donna con la passione per la scultura, lei ha visto quello del marito Roberto Cona. Nella notte tra il 26 e il 27 luglio del 2013 lungo l’autostrada del Sole un camion ha distrutto l’auto su cui viaggiava insieme all’amore di una vita. Marina e Roberto erano sposati da poco più di un anno, stavano rientrando in Sicilia per le vacanze. Lei rimase gravemente ferita, il marito entrò in coma e morì dodici ore dopo l’incidente.
«Quel giorno è cambiata tutta la mia vita» racconta a MeridioNews. Ogni giorno, però, ad ogni nuova notizia di incidenti stradali, di vittime innocenti e pirati della strada impuniti quel dolore si rinnova. «Ieri quando ho visto le immagini drammatiche di via Cordova mi sono ritrovata a terra, poco distante il mio Roberto. E’ stato terribile. Ho pensato: “Ancora famiglie immerse in un abisso di sofferenza e condannate all’ergastolo del dolore“».
Per lei è una ferita che «si riapre ogni volta». Ad ogni incidente «rivivo quegli istanti – racconta -. La coda in autostrada, Roberto che mi dice “Amore al prossimo autogrill prendiamo un caffè” e poi le lamiere dell’auto, l’ambulanza, il pronto soccorso e il referto del medico che mi toglie ogni speranza». Le conseguenze di quella tragedia Marina le porta nell’anima. Ma anche sul corpo. Una lunga convalescenza. «Ho ancora problemi alla colonna vertebrale, alle gambe, alla braccia» ammette. Ma non c’è tempo per commiserarsi. Tanto meno per rassegnarsi. Da 21 mesi la donna minuta dal volto gentile porta avanti una battaglia. La sua e quella dei familiari delle migliaia di vittime della strada. «Quattromila persone ogni anno muoiono a causa di incidenti stradali, circa 4 al giorno, e di queste oltre l’80 per cento è vittima di omicidi stradali, causati da imprudenza, negligenza e imperizia nella guida».
Una strage silenziosa contro la quale Marina combatte chiedendo da tempo l’introduzione del reato di omicidio stradale. Il ddl è all’esame della commissione del Senato, ma per lei rischia di essere una «legge contentino», perché «fa confusione», introducendo anche il reato di omicidio nautico, e perché, soprattutto, non prevede la distrazione dovuta all’uso di telefonini e apparecchi elettronici alla guida come circostanza che configura il reato. «Il 51 per cento dei casi di omicidi stradali è dovuto proprio all’utilizzo di questi apparecchi – dice -. Anche Pietro Sclafani (l’uomo che ha travolto e ucciso Tania, ndr) parlava al telefono. Mi chiedo perché annacquare la legge. Quali poteri forti si vogliono tutelare?».
Ma secondo Marina Fontana il testo è debole anche perché non prevede «l’ergastolo della patente» ossia la revoca permanente nei casi più gravi. «La verità – dice con amarezza – è che in Italia non si può avere giustizia. I magistrati non hanno gli strumenti e così, con l’accusa di omicidio colposo, un avvocato, neanche troppo esperto, troverà sempre il modo per evitare che questi assassini possano finire in galera se non per pochi mesi». Il 21 maggio sarà a Firenze per il processo. «Per ottenere il rinvio a giudizio dell’assassino di mio marito ho dovuto aspettare un anno, la prima udienza era stata fissata a gennaio e poi rinviata a maggio per ascoltare i testimoni». In aula probabilmente l’autista del tir che ha stravolto la sua vita non ci sarà. «E’ libero in Turchia. Il tir a bordo del quale viaggiava non aveva la carta verde, ma non è stato sequestrato alla frontiera. Andava come un matto e stava al cellulare, così si è schiantato sulla nostra auto».
Da quel terribile giorno Marina non l’ha più visto. «Non lo odio, ma sono molto addolorata: non ha mai chiesto scusa. Se lo incontrassi gli chiederei perché non è stato responsabile e mi aspetterei almeno un “Mi dispiace”». La vendetta? «Non mi appartiene. Non chiedo la pena di morte, perché lo Stato non può trasformarsi in un omicida. Ma il garantismo non può e non deve trasformarsi in una licenza di uccidere. Servono pene severe». Il 9 giugno ci sarà un altro sit-in pacifico a Roma davanti Palazzo Chigi e nelle altre città davanti le prefetture. «Per chiedere al Governo Renzi di intervenire subito. Non c’è più tempo da aspettare».
E Marina continuerà a ribadirlo. Sempre. In ogni occasione. «La mia è una vita a metà, ma non mollo. Lo devo a Roberto. Il dolore mi accompagnerà sempre, ma ho imparato a conviverci. Cosa mi manca di più? Mio marito mi completava, era la parte bella e forte di me. Mi manca questo: sapere che è accanto a me ogni sera quando torno a casa e ogni mattina quando mi sveglio».