Sul giornale il necrologio per il padre di Messina Denaro  Libero Futuro: «Da Cosa nostra dimostrazione patetica»

Essenziale. Nessuna citazione in latino e neppure frasi a effetto, ma solo il nome scritto al centro in grassetto e sotto due date: a sinistra quella della morte e a destra quella di oggi. Il necrologio in ricordo di Francesco Messina Denaro, il padre dell’ultima primula rossa Matteo, il super latitante a cui da anni gli investigatori danno la caccia, è apparso ancora una volta sul Giornale di Sicilia. Pubblicato, come avviene ormai da anni, nello spazio dedicato al ricordo di chi non c’è più. Solo che questa volta l’autore dell’inserzione ha scelto la sobrietà, abbandonando le scelte fatte in passato, quando la testimonianza di un affetto mai tramontato era affidato a frasi come «Ti vogliamo bene, Sei sempre nei nostri cuori» oppure ancora citazioni colte come «È tempo di nascere ed è tempo di morire ma vola soltanto colui che vuole e il tuo volo è stato per sempre sublime». 

Francesco Messina Denaro è morto il 30 novembre del 1998. Da latitante. A capo del mandamento di Castelvetrano era arrivato dopo la guerra di mafia dei primi anni Ottanta quando insieme a Marano Agate fu alleato dei corleonesi, contro le famiglie palermitane e quelle alcamesi dei Rimi e trapanesi dei Minore. La sua latitanza iniziò nel 1989 dopo la condanna a dieci anni di reclusione del Tribunale di Trapani. E ci vollero otto anni di ricerche prima di ritrovarlo. Morto, però, perfettamente vestito e pronto per il funerale. A stroncarlo era stato un infarto e il suo cadavere fu fatto ritrovare nelle campagne del trapanese.

Negli ultimi anni il necrologio in suo onore era ricco di parole e citazioni. Nulla a che vedere con l’annuncio stringato ed essenziale di oggi. «È il tentativo di mandare un messaggio all’esterno, un messaggio che attraverso i mezzi di comunicazione, possa raggiungere una platea ampia» dice a MeridioNews Enrico Colajanni, presidente dell’associazione antiracket Libero Futuro, nata nel 2007 a Palermo e da anni impegnata nell’assistenza agli imprenditori anche della Sicilia occidentale nel difficile percorso di liberazione dal giogo del pizzo. «Attraverso i loro morti riaffermano una presenza – aggiunge – e dimostrano di non dissociarsi dalle azioni criminali dei loro capi. Fanno sapere che esistono con una dimostrazione puerile e patetica di potere». Intanto sui social la rete si indigna. «Caro Giornale di Sicilia – twitta qualcuno – ma ogni anno troveremo il necrologio dei parenti di tutti i mafiosi o solo di chi comanda?». «La normalità per un defunto speciale», dice Notte criminale,  che si definisce «il primo web magazine dedicato al crimine di ieri e di oggi».

Al di là dei giudizi etici resta un modo per esprimere la propria presenza sul territorio. Un controllo ancora particolarmente forte. Lo dimostrano la raffica di intimidazioni che da giorni, in vista delle festività natalizie, ha colpito i commercianti e gli imprenditori del palermitano. Incendi e colla nei lucchetti per ricordare che c’è la messa a posto da rispettare e da aiutare i parenti dei detenuti. «È il solito pressing a cui assistiamo ogni anno – dice ancora Colajanni – e davanti al quale occorre resistere, perché come dimostrano le intercettazioni e gli arresti, il pizzo è diventato rischioso e molti boss si lamentano delle resistenze dei commercianti». L’obiettivo della denuncia collettiva, però, è ancora lontano. «Le denunce restano troppo poche rispetto alle vittime del racket. Invece abbiamo dimostrato come si possa non pagare il pizzo senza subire conseguenze gravi». A Palermo in mille hanno scelto questa strada e hanno costituito una rete che fa fronte comune contro Cosa nostra. «Gli esattori di Cosa nostra – assicura il presidente di Libero Futuro – considerano quelle imprese pericolose, temono denunce e arresti, così l’adesione alla rete pizzo free è diventata un vero e proprio deterrente». 

Certo la strada è lunga e in salita. Soprattutto nel regno di Messina Denaro, ma anche in provincia di Palermo e nelle zone periferiche della città, che ancora si dimostrano «resistenti», quando non vere e proprie roccaforti di Cosa nostra. «A Bagheria i 30 imprenditori che hanno denunciato hanno dimostrato che è possibile ribellarsi e che anzi è l’unica strada per non soccombere. L’azione forte dello Stato, le denunce delle vittime e le testimonianze dei collaboratori di giustizia hanno permesso di innescare meccanismi virtuosi che vanno alimentati per decimare le cosche e fiaccare Cosa nostra». Invece, accanto ai collusi, a chi con la mafia fa affari e che resta in molte aree della Sicilia «una parte consistente del tessuto imprenditoriale ed economico», c’è chi non denuncia per paura. «Vivono nella speranza che a liberarli siano le forze di polizia e la magistratura – conclude Colajanni – non comprendendo che la denuncia è ineludibile perché senza il mafioso tornerà a chiedere il pizzo». Con puntualità e costanza.


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