Strategie della Regione per valorizzare i beni tolti alla mafia «Impiegare più fondi per le nuove iniziative imprenditoriali»

Dei beni confiscati in tutta Italia, il 40 per cento è in Sicilia. E, secondo i dati del ministero della Giustizia, tra quelli tolti definitivamente alle mafie tra il 2020 e il 2021 la maggior parte si trova sull’isola. Numeri – i più alti a livello nazionale – che hanno spinto la Regione a dotarsi di un documento per delineare le strategie per valorizzare i beni mobili, immobili e aziendali tolti alle organizzazioni criminali per restituirli alla collettività. L’obiettivo è trasformare i simboli del potere mafioso in patrimonio comune, come previsto dalla legge Rognoni-La Torre. Per centrarlo, la Regione si è dotata di un tavolo tecnico chiamando esperti e studiosi del settore. «La nostra strategia è tra le prime e più strutturate programmazioni di settore a livello nazionale», ha detto l’assessore all’Economia Gaetano Armao nel suo intervento al primo Forum espositivo dei beni confiscati. Chiavi di accesso e valorizzazione, che si è tenuto a Napoli. Il punto di partenza nell’Isola è quello però di un quadro preoccupante: beni confiscati in stato di abbandono, abusivioccupati, presi di mira per atti di vandalismo

Dei 14.315 immobili confiscati in Sicilia, 7126 sono già destinati mentre 7189 sono ancora in gestione (cioè ancora da destinare in quanto sottoposti a sequestro o confisca non definitiva). La concentrazione più elevata è nel Palermitano con oltre i 6,3 mila immobili, di cui circa il 61 per cento già destinato. Seguono la provincia di Trapani con oltre 2,2 mila immobili, di cui appena un terzo già destinato, e quella di Catania in cui gli immobili già destinati rappresentano circa il 63 per cento, e il Messinese con appena il 36 per cento. La provincia di Ragusa è invece quella con il minor numero di immobili confiscati, ma detiene la percentuale più elevata di beni già destinati (circa l’89 per cento). Nello specifico, il 45 per cento dei beni confiscati sull’isola sono terreni agricoli; il 42 per cento sono unità immobiliari per uso abitativo e un 9 per cento è rappresentato da immobili per uso commerciale e industriale. In particolare, le unità abitative sono concentrate principalmente nelle due aree metropolitane con più elevata urbanizzazione: il 57 per cento si trova nel Palermitano e il 48,5 per cento nel Catanese. Nelle altre provincie invece si tratta soprattutto di terreni. 

Sono 1449 le aziende confiscate sull’Isola, di cui 906 in gestione e le restanti 543 già destinate. Dal punto di vista territoriale, 659 si trovano nel Palermitano (il 45 per cento di quelle siciliane) principalmente nel territorio del Comune di Palermo (441). Seguono la provincia di Catania con 236 (il 16,3 per cento) e quella di Trapani con 197 (oltre il 13 per cento). Il Ragusano è invece il territorio con il minor numero di aziende confiscate (se ne contano solo sei e tutte nel settore delle costruzioni e del commercio). Solamente le province di Siracusa ed Enna detengono un’incidenza di aziende destinate superiore a quelle in gestione. L’attività economica delle costruzioni e quella del commercio all’ingrosso e al dettaglio rappresentano le maggiori quote di aziende confiscate in Sicilia. Ma anche il settore dell’agricoltura mostra quote percentuali a doppia cifra e in particolare nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Trapani; mentre sono del settore dei servizi pubblici sociali e alle persone quelle nelle province di Caltanissetta, Catania, Messina e Siracusa. Per quanto attiene la forma giuridica, quella maggiormente interessata riguarda le Società a responsabilità limitata (Srl), seguono le imprese individuali, le società in accomandita semplice (Sas) e quelle in nome collettivo (Snc), mentre risultano residuali le Società per azioni (Spa), che sono appena 16 in tutta l’Isola. 

Numeri che, comunque, come è annotato anche nel documento della Regione vanno letti senza perdere di mira il fatto che «le informazioni disponibili risentono della mancanza di omogeneità nelle classificazioni, della carenza di indicatori appropriati, di una diffusa incompletezza dei dati con scarsa accessibilità sia per i soggetti pubblici che per quelli privati». E questa è una delle criticità che riguarda i beni confiscati sull’isola. C’è poi la questione dello stato di degrado dovuto ai tempi molto lunghi per le destinazioni e le assegnazioni. Difficoltà che hanno portato anche a optare per l’accelerazione delle procedure di vendita. Sono 215 i beni che sull’isola hanno già avuto questa destinazione «ferme restando – si legge nel report regionale – le cautele per scongiurare che ritornino in proprietà del soggetto che ne ha subito la confisca o di altro a lui riconducibile o comunque riferibile alle organizzazioni criminali». 

In questo complesso contesto, la Regione – anche con i fondi del Pnrr – lavora a progetti per la restituzione alla collettività dei beni sottratti alle mafie non solo per l’alto valore simbolico ma anche come strumenti di crescita economica e sociale dei territori. E in questa direzione diverse sono le strategie da mettere in pratica, a partire da «una raccolta di informazioni standardizzate tramite osservatori territoriali per monitorare il riutilizzo anche con la creazione di una piattaforma (interoperabile con altre banche dati)». Non solo un mero elenco di dati sui soggetti che gestiscono i beni, ma anche uno strumento per tenere conto delle attività e per raccogliere proposte di progetti di valorizzazione. Un sostegno concreto nella gestione dei beni confiscati, per fare in modo che generino economia legale, dovrebbe arrivare dalla Regione – coinvolgendo anche altri soggetti istituzionali, come le prefetture – con «investimenti materiali e immateriali delle cooperative per favorire pure l’occupazione di soggetti svantaggiati». L’impegno pratico della Regione è anche quello di impiegare i fondi per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali (per esempio comprando attrezzature utili nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato, delle manifatture, del turismo e delle tecnologie) con l’idea di trasformare i beni tolti alla mafia non solo in sedi di uffici pubblici ma anche in strutture per anziani o di accoglienza, housing sociale, asili nido, ludoteche, centri diurni e aree di coworking.  


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