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Strage Casteldaccia, iniziano i funerali degli operai: «Morire sul lavoro è segno di una società fragile»

«Morire sul lavoro è un segno preoccupante di una società fragile nella quale non c’è lavoro per tutti e quando c’è, spesso non è dignitoso, è sottopagato, non è rispettoso della dignità umana. È un lavoro che dimentica la persona». Ha iniziato così la sua omelia l’arcivescovo di Monreale Gualtiero Isacchi durante i funerali di Ignazio Giordano. Uno dei cinque operai morti nella strage sul lavoro a Casteldaccia, in provincia di Palermo.

Seduti in prima fila ci sono la moglie e i figli della vittima. Tra le persone che hanno riempito la chiesa, ci sono anche i sindaci di diversi comuni della provincia di Palermo: Giacinto Di Giovanni (Casteldaccia), Piero Rao (Partinico), Vito Cannella (San Cipirello), Giuseppe Terranova (Montelepre) e Antonio De Luca (Giardinello). «Lo sappiamo, la morte fa parte dell’esperienza della vita terrena – ha aggiunto l’arcivescovo durante la predica della celebrazione – Ma ciò non ci consola: il modo in cui Ignazio ha lasciato i suoi affetti più cari, il modo in cui ha perso la vita, è profondamente ingiusto».

Le autopsie sui cadaveri della vittime hanno confermato la dinamica della strage: una morte per soffocamento quella degli operai i cui polmoni sono risultati completamente ostruiti a causa di un’intossicazione da idrogeno solforato, il gas sprigionato dalla fermentazione dei liquami mentre lavoravano nella rete fognaria dopo essersi calati nel tombino uno dopo l’altro senza dispositivi e misure di sicurezza. Anche perché, stando a quanto emerso finora dalla indagini, in quelle fogne non avrebbero dovuto calarsi. Nell’inchiesta in corso per ricostruire la catena di responsabilità, il titolare della ditta Quadrifoglio (che aveva i lavori in subappalto dall’Amap, la società municipalizzata di Palermo) è indagato per omicidio colposo aggravato plurimo e di lesioni personali colpose gravissime aggravate ai danni dell’unico dipendente sopravvissuto

«Se ancora oggi si muore di lavoro con una frequenza impressionante – ha concluso monsignor Isacchi – significa che qualcosa non va. Le chiamano morti bianche, ma rappresentano la sconfitta della nostra società – ha proseguito l’arcivescovo di Monreale – Spesso ci vengono riproposti i numeri impressionanti delle morti bianche che aumentano di giorno in giorno: non sono numeri, sono uomini e donne e qualche volta minori traditi da quel lavoro nel quale riponevano speranza. Non distraiamoci da questa emergenza», ha concluso.


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