Strage Capaci, proiezione del film Belluscone La firma di Maresco per un ricordo anti-retorico

Il 23 maggio 1992 vennero uccisi, con un attentato, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito SchifaniRocco Dicillo e Antonio Montinaro. A 23 anni dalla strage, oltre ai ricordi istituzionali – spesso tacciati di ipocrisia e professionismo dell’antimafia -, non mancano le iniziative organizzate dai cittadini. Come la commemorazione dall’intento anti-retorico ai cantieri culturali della Zisa. Dove stasera, nella sala cinematografica dedicata a Vittorio De Seta – struttura dalla grande potenzialità, ma dimenticata dalle istituzioni -, l’associazione culturale Lumpen organizza la proiezione speciale della pellicola Belluscone – una storia sicilianadiretta da Franco Maresco. A seguire, dopo il lungometraggio, verrà presentato agli spettatori Il mio 1992, un lavoro inedito dell’autore palermitano che condensa sequenze del film mai mostrate e frammenti audiovisivi realizzati più di venti anni fa, durante uno dei periodi più bui della storia, non solo siciliana. Non un caso isolato nella carriera di Maresco che, al di là dei lavori noti, passa anche attraverso centinaia di videocassette e registrazioni, collezionate nel tempo e mai presentate al pubblico.

Belluscone, l’ultimo lavoro realizzato dall’autore palermitano, concluso a fatica dopo una gestazione di tre anni e trionfatore a Venezia nella sezione Orizzonti, mostra la lucida e disincantata visione di Maresco sulla realtà e il cinema. Il tentativo di spiegare la relazione che lega Silvio Berlusconi all’universo di Brancaccio – quartiere in cui l’impresario Ciccio Mira organizza concerti neo-melodici e dove l’ex-premier raccoglieva percentuali di consenso elevatissime -, di dimostrare il collegamento criminale tra Cosa nostra e la Brianza – concretizzatosi nel presunto prestito di Stefano Bontate – naufraga in un film mai completato. Così lo presenta il critico cinematografico Tatti Sanguineti, che prende il ruolo di guida nella ricerca, lungo la pellicola, di Franco Maresco, dato per scomparso.

La tesi di un possibile film politico, come non ne vengono più prodotti in Italia è solo una cornice. Il film sviluppa una narrazione sociologica e antropologica che pone lo spettatore – e quello siciliano ancora di più -, di fronte a uno specchio. La macchina da presa è fissa sull’umanità della borgata palermitana, sul volto di Ciccio Mira, reticente sostenitore di una mafia buona, quella del passato, e che non vorrebbe organizzare concerti il 23 maggio perché la musica napoletana non farebbe al caso. I microfoni raccolgono le sonorità di Vorrei conoscere Berlusconi, canzone scritta da Erik – residente a Villagrazia e rispettoso verso il boss Bontate – e interpretata da Vittorio Ricciardi – neomelodico che dice di no alla violenza in generale, ma non rifiuta apertamente mai la mafia -, negli affollati concerti di piazza in cui vengono ripetutamente salutati e omaggiati i detenuti, gli ospiti dello Stato.

La realtà di un sottoproletariato che adora e rivuole al potere Belluscone, nella morbida variazione sonora palermitana, è mostrata sullo schermo e resa vicina attraverso l’occhio e la camera di Franco Maresco, che appiana il confine della periferia segnato dai viali e dai palazzoni in cui gli spettatori di rado si addentrano. Senza confinare l’orrore entro limiti geografici e di classe. Perché nel film la borghesia mondana mostra la propria incoscienza di ciò che è stato, che diventa complicità; una rimozione della memoria storica che rende la lotta al fenomeno mafioso una sconfitta perenne e trasversale alla società. Non c’è spazio per la celebrazione artificiosa di una società siciliana che vive la mafia come «un fatto umano che avrà anche una fine». Il pessimismo di Leonardo Sciascia, di una Sicilia abitata da professionisti dell’antimafia e perennemente soggiogata dal male coincide quasi con quello totalizzante di Franco Maresco.

Al cinema De Seta, stasera, l’obiettivo è non lasciare spazio al piangersi addosso né all’autoassoluzione. Come quando, tre giorni dopo l’attentato di Capaci, Pietro Giordano, in una delle sue ultime metamorfosi di Cinico Tv, diventò una bomba, «messa lì dalla mafia». Successe in prima serata su RaiTre, ad opera del duo ancora poco famoso Ciprì&Maresco. Le polemiche furono feroci. Ma costrinsero, allora come oggi, a un altro punto d’osservazione.


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