Storia dei Clustersun, emergenti di successo Wave e psichedelia dall’Etna a Oltreoceano

Dalle cover brit rock a un contratto discografico e un album fresco di rilascio, senza passare dal via. In mezzo ci stanno concerti importanti, brani pubblicati Oltreoceano e un cambio di nome e stile musicale da «indie danzereccio» a suoni sperimentali. È la storia di successo – e quasi frenetica – dei Clustersun, band catanese emergente un po’ shoegaze, un po’ new wave e un po’ post punk che, a pochi mesi dalla fondazione, ad inizio 2013, ha firmato con la prestigiosa etichetta indipendente Seahorse Recordings e ha registrato Out Of Your Ego, un disco di inediti d’ispirazione psichedelica e sonorità anni ’80 – ’90, in vendita dal 28 aprile scorso. Eppure i quattro musicisti etnei che compongono i Clustersun – il bassista e cantante Marco Chisari, 36 anni, tecnologo alimentare e istruttore di nuoto; il chitarrista Mario Lo Faro, 36 anni, avvocato ed esperto in Diritto dei beni culturali; il tastierista Piergiorgio Campione, 36 anni, gestore di uno studio di registrazione e istruttore di tennis; e il batterista Andrea Conti, 27 anni, impegnato nel settore della ristorazione – non avevano mai pensato sul serio a sfondare quando hanno cominciato a suonare cover per dare sfogo alla loro passione per la musica britannica. «È accaduto tutto molto in fretta e siamo contenti di quello che è arrivato fino ad ora – commentano – Ma sin dall’inizio noi siamo andati avanti con il nostro progetto musicale perché ci piace suonare insieme, al di là dei contratti, e continueremo a fare lo stesso in futuro».

La storia dei Clustersun comincia nel 2008 quando Mario e Marco, amici dai tempi dell’università e musicisti a riposo – «con gli strumenti chiusi in cantina a prendere polvere» – finiscono per strimpellare insieme a Ferragosto. «Si è instaurato un buon feeling musicale e abbiamo deciso di metter su una band», racconta Mario. Gruppo a cui, dopo una prima fase «nel salotto», si uniscono Piergiorgio, ex compagno di scuola di Mario, e Andrea, «che suonava la batteria da un mese», racconta ancora il chitarrista, entrato per sostituire il primo batterista, Seby Gazzo. Così, da un progetto musicale «in fase embrionale», si forma una vera band: i Retrosonic. «Facevamo cover e suonavamo solo per diverirci – continua Mario – ma già si stava creando quell’intesa musicale che è il nostro punto di forza». Tra le fonti di ispirazione dei Retrosonic c’erano Beatleas, Pink Floyd, Oasis e la musica britannica in genere. Poi le coordinate stilistiche si spostano verso «l’indie danzereccio che andava in quegli anni, come Franz Ferdinand o Kaiser Chiefs», precisa il chitarrista. Dopo alcuni mesi di prove nello studio di Piergiorgio, da sempre quartier generale della band, arrivano i primi live, «con un buon riscontro, perché i concerti erano pieni». Ma ai quattro musicisti le cover non bastano più: «Abbiamo sentito subito l’esigenza di fare pezzi nostri», racconta Piergiorgio. Anche perché «il materiale c’èra, il feeling anche – aggiunge Andrea – stavamo ingranando nel modo giusto».

Messe da parte le cover, la band vira verso gli inediti. «Abbiamo messo insieme cinque pezzi in due mesi – racconta Mario – e siamo andati subito a registrarli». Una scommessa da cui, ad inzio 2011, nasce l’Ep autoprodotto Ties, Cardigans & Other Cool Stuff, registrato al Towerhill Studio di Luigi Scuderi. Con il cd in tasca, a marzo i Retrosonic partecipano all’Indie Concept, contest sulla musica locale, indipendente ed emergente. «Siamo stati selezionati e ci siamo esibiti da Zo in apertura della prima serata – racconta ancora il chitarrista – Eravamo dei perfetti sconosciuti e captammo anche un certo scetticismo». Eppure il concerto va alla grande: «Siamo arrivati terzi al contest e, a regalarci un boost di popolarità, contribuì un articolo uscito su Repubblica in cui fummo citati tra le nuove leve della scena indie etnea», ricorda Mario. Un successo che permette alla band di «saltare la gavetta nei piccoli pub», racconta Andrea, e di suonare in locali del calibro de La Chiave e Mercati Generali.

Ma i panni dell’«indie danzereccio» cominciano a stare stretti ai Retrosonic. «Durante le prove sviluppavamo già un tipo di musica diversa da quella cristallizata nell’Ep. Ci stavamo trasformando», spiega Mario, avvicinandosi ad «uno stile sperimentale», aggiunge Piergiorgio. «La svolta in una nuova direzione stava arrivando da tutti e quattro – continua il tastierista – era naturale assecondarla». Anche se, il passaggio da Retrosonic a Clustersun non è così netto, ma «una fase di circa un anno in cui abbiamo preso coscienza di aver cambiato stile – spiega Marco – Dovevamo cambiare identità, proporci da zero». Un cambiamento che comprende anche il nome, nato per caso, ma in sintonia con il nuovo stile della band. «Clustersun è la storpiatura di un brano che si chiamava Cluster One», racconta Mario. Con un significato «recondito: un connotazione spaziale, che si adattava alle nostre nuove atmosfere musicali», aggiunge Andrea.

Lo stile dei Clustersun danza tra shoegaze, psychedelia, dream pop e new wave. Una «musica cerebrale» che, «trasmette al pubblico la voglia di trasportarsi in un’altra dimensione», precisa Mario. Un sound in cui «senti i Pink Floyd del periodo Barrett, i Joy Division, i Cure, il post punk», spiega ancora il chitarrista; una ricerca di «suoni particolari – sottolinea Marco – fatti di stratificazioni di chitarra, riverbero, delay, eco, e sonorità anni ’80, ma più moderni». Ed è l’unione di questi elementi a creare «atmosfere psichedeliche, fumose, rumorose, che però mantengono una loro identità: in mezzo a questo caos di suoni riesci sempre a percepire i singoli strumenti», precisa il bassista. «È come prendere una melodia ed infilarla nella lavatrice», aggiunge Mario. Altro elemento fondamentale è il cantato: «Ci sono momenti in cui la voce è dominante, ti trasporta dentro al brano – spiega Piergiorgio – È uno strumento come gli altri».

Messo a punto il sound, i Clustersun, nati ufficialmente ad inizio 2013, partono subito in quarta, ottenendo in pochi mesi un contratto con un’etichetta discografica di alto livello: la Seahorse Recordings. «Siamo stati fortunati perché le nostre demo sono state ascoltati da una persona capace che ha creduto in noi: Paolo Messere, il nostro produttore», ammette Andrea. «Con lui eravamo in contatto già dal periodo Retrosonic – racconta Mario – Quando gli abbiamo sottoposto le bozze dei brani nuovi, la reazione è stata immediata: ci ha voluti con lui». Ma la band partiva già avvantaggiata da una pubblicazione importante: il primo singolo autoprodotto Be Vegetal era stato scelto dalla Custom Made Music, label eminente con sede a Chicago – che, tra gli altri, pubblica anche Peter Hook, ex bassista dei Joy Division – per entrare a far parte della compilation Summer Sampler 2013. «Questo traguardo ci ha dato riscontro, e nel giro di pochi mesi ci siamo trovati con un contratto in mano e la possibilità di registrare l’album», racconta Mario.

Dopo la firma, a settembre 2013 i Clutsersun si chiudono in studio, all‘Eye & Ear Multimedia a Fiumedinisi, nel Messinese, per dieci giorni di intenso lavoro in cui dare vita ad Out Of Your Ego, il loro disco d’esordio, uscito il 28 aprile 2014. Che definiscono così: «8 tracce, 45 minuti di shoegaze/psichedelia/wave e quintali di riverbero, pronti per fare saltare le casse dei vostri stereo». «È stata un’esperienza molto bella e creativa – racconta Andrea – in cui ci siamo catapultati in un altro mondo e abbiamo condiviso tutto». Avventure e disavventure tra amici comprese. «Le sessioni proseguivano in notturna con massicce dosi di sambuca per tenere vivo e attivo il nostro producer – confessa Mario –, grazie alla quale uscivano meravigliosi effetti in sede di mixaggio e riuscivamo a spingere ulteriormente gli orari di lavoro. Dieci giorni sono pochi e il tempo vola». Il tutto condito da tour enogastronici – «siamo tutti amanti del buon cibo» – e da «sessioni di improvvisazione elettronica notturne in camera da letto con i telefonini e un mixerino che ci eravamo portati da casa», racconta Andrea. Terminato «il ritiro» a Fiumedinisi, è toccato al mastering, per cui Out Of Your Ego è volato a Chicago, nel prestigioso studio Saff Mastering. Altro fiore all’occhiello dell’album è l’artwork, realizzato dalla giovane fotografa newyorkese Brooke DiDonato, specializzata in foto a tema surrealista. «Ci siamo innamorati dei suoi lavori e abbiamo deciso di contattarla – racconta Mario – Qualche ora dopo aver inviato l’email, ci ha risposto, accettando con entusiamo. Dopo qualche settimana di corrispondenza, ci ha inviato i cinque scatti concepiti appositamente per il nostro album».

Adesso, a pochi giorni dal lancio di Out Of Your Ego – disponibile anche sulle piattaforme digitali Audioglobe.it, Amazon, iTunes, Spotify e Deezer – i Clustersun cominciano a pianificare il futuro. Più o meno prossimo. «Il nostro obiettivo è far conoscere il cd e farlo ascoltare a più orecchie possibili», spiega Mario. Nel frattempo, la band punta sul costruirsi «credibilità, non solo a livello locale, ma anche nazionale ed internazionale, perché il nostro genere di musica è più fruibile da un pubblico estero», sottolina Marco. Non a caso, «le band italiane simili a noi sono sempre in tour fuori dall’Italia», aggiunge. Ma una novità «fresca di pollaio» la anticipano con entusiamo: «La nostra etichetta è stata incaricata da Rockit di realizzare un tributo alla scena alternative-underground australiana anni ’80-’90 – spiega Mario – Noi ci saremo con la cover di un brano degli Icehouse, una sorta di Depeche Mode a canguro tra synth pop e new wave, che stiamo rendendo più stile Clustersun». Senza però smettere di rimboccarsi le maniche sugli inediti: «Stiamo continuando a comporre, abbiamo già pronte alcune canzoni nuove che sicuramente inseriremo in un secondo album, che di certo non suonerà identico al primo», assicura Marco.

La storia dei Clustersun è un esempio di giovani emergenti che riescono a sfondare grazie a costanza, talento, originalità e passione per la musica. Una scommessa vinta, con l’aiuto di un pizzico di fortuna. «Noi siamo un caso raro al giorno d’oggi, perché purtroppo non si investe sulla musica, ti devi andare a cercare tu gli agganci», ammette Andrea. Ma ai colleghi musicisti consigliano di non mollare e di «mandare più demo possibili, ovunque, e farsi conoscere; noi abbiamo fatto così», insiste Piergiorgio. Sfruttando anche i canali di promozione offerti dalla Rete, come social network e sistemi di condivisione di musica stile SoundCloud. Anche se non è facile: «C’è tanta gente davvero in gamba, ma adesso si va avanti a talent show: se non sei integrato nel canale giusto non sbuchi», ammette il tastierista. Anche se, sin dagli esordi, i Clustersun non sono mai stati «una macchina progettata per il successo, ma per l’autogodimento», spiega Marco. «Noi non ci siamo mai posti il problema di diventare famosi o no, perché già siamo contenti quando stiamo in studio a suonare – confessa il bassista – Che poi il frutto del nostro lavoro possa essere ascoltato da qualcuno ovunque nel mondo ci da enorme soddisfazione. Se qualcuno ci ascolta, vale la pena di insistere con il progetto». E alla domanda su qual è il segreto del loro successo, rispondono così. «La nostra intesa musicale, che viene da intesa personale, feeling, amicizia e coerenza nei gusti musicali – spiega Mario – L’interconnessione umana prima ancora che musicale: è questo il vero nucleo su cui si fonda la nostra musica».


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