Dopo un'assemblea concitata, hanno deciso per l'occupazione della sala di via Fava. A oltranza, finché non otterranno almeno un tavolo tecnico tra istituzioni e sindacati. L'obiettivo è ricevere le mensilità arretrate, ma anche avere certezze per il futuro. «Qui pignorano le poltrone, a noi tolgono le case», dicono i dipendenti
Stabile, 35 lavoratori occupano il teatro Verga «Un atto di forza, stiamo vivendo un dramma»
Il responso dell’assemblea dei lavoratori del teatro Stabile di Catania è chiaro: si occupa la sala Verga. Lo hanno deciso a maggioranza, come estremo gesto di protesta visto che da novembre non vedono i loro stipendi. La situazione economica dell’istituzione culturale etnea negli ultimi due anni è sempre sotto i riflettori. Ma è esplosa di nuovo venerdì, quando un ufficiale giudiziario si è presentato all’ingresso del teatro di via Giuseppe Fava per tentare di pignorare le poltrone, a causa di un debito di poche migliaia di euro maturato parecchi anni fa da un’attrice che non lavora più allo Stabile. «Stavolta è il momento del blocco totale», dice Antonio Giardinieri, responsabile sindacale della Cgil.
«I lavoratori non prendono lo stipendio da novembre e mancano le prospettive per il futuro», continua Giardinieri. Addirittura quello che molti temono è che la precaria situazione delle casse dell’ente teatrale provochi la necessità di tagli al personale. «Il nostro è un atto di forza – sostiene il sindacalista – Siamo a teatro, ma quello che stiamo vivendo è un dramma vero». Perché se le poltrone della sala Verga, alla fine, sono ancora al loro posto, lo stesso non potrebbe dirsi di quelle delle case dei lavoratori, che i pignoramenti li subiscono davvero per via dell’impossibilità di pagare le rate dei mutui che hanno acceso. «Ci sono persone che non possono pagare la casa, che non possono andare a lavoro, che non sanno come comprare da mangiare – conclude Giardinieri – Non è una questione di lavoro, è che ci hanno fatto perdere la dignità».
Oggetto delle accuse di sindacato e lavoratori sono le istituzioni. Che coincidono, tra le altre cose, con i soci dell’Ente teatro di Sicilia: il Comune, la Regione e la ex provincia di Catania su tutti. «L’amministrazione di questo teatro è stata disastrosa», dicono i dipendenti, riuniti davanti alle porte di vetro della sala Verga. Agli ingressi sono stati messi dei lucchetti e tutte le attività sono state bloccate. Lo sciopero continuerà a oltranza, finché non sarà istituito un tavolo tecnico tra chi guida il teatro e chi ci lavora dentro. «Sono otto anni che viviamo di acconti sugli stipendi – aggiungono – Vogliamo sapere se possiamo stare sereni per il futuro, vogliamo pagamenti regolari».
Stasera nella grande sala di via Fava sarebbe dovuta andare in scena l’ultima replica di Lear, spettacolo di cui è regista l’attuale direttore artistico dello Stabile, Giuseppe Dipasquale. La cui gestione si chiuderà alla fine di questa stagione, dopo le pesanti polemiche che l’hanno investita. A sostituirlo sarà il collega Giovanni Anfuso, nome indicato con forza dal sindaco di Catania Enzo Bianco. Negli ultimi mesi, inoltre, a rendere ancora più tempestoso il cielo sul teatro etneo sono state le dimissioni del presidente Nino Milazzo, sostituito da Salvatore La Rosa. Un balletto fatto di avvicendamenti politici e di segnalazioni arrivate direttamente dagli uffici dell’assessorato alla Cultura di Palermo. In mezzo ci sono i debiti: da quelli con l’Inps per i contributi dei lavoratori a quelli con i proprietari della storica sala Musco di via Umberto. Il luogo in cui la storia del teatro Stabile di Catania è nata e per il quale ormai si stenta a pagare l’affitto.