Spese pazze Ars, giudici smentiscono i racconti di Pogliese «Gestione confusa, doppi rimborsi e collaboratori in nero»

Più che spese pazze, si direbbero spese in famiglia. Sono di pochi giorni fa le motivazioni della sentenza che questa estate ha condannato a quattro anni e tre mesi per peculato il sindaco di Catania Salvo Pogliese, al tempo dei fatti deputato all’Assemblea regionale siciliana (Ars). Subito dopo sospeso dalla carica di primo cittadino per effetto della legge Severino e poi reintegrato a seguito del ricorso vinto – anche se non di misura – al tribunale civile di Catania. Entrambe le vicende non sono ancora concluse ma, intanto, a richiamare l’attenzione tra le pagine delle motivazioni dei giudici di Palermo dedicate a Pogliese è l’apparente scollamento tra le dichiarazioni pubbliche del sindaco e gli atti. «Ho affrontato il processo con documenti alla mano e con decine di testimoni che hanno puntualmente confermato la correttezza del mio operato e l’assoluta unicità di chi ha anticipato ingenti risorse personali per pagare gli stipendi e il tfr dei dipendenti del proprio gruppo parlamentare e le spese di funzionamento, cosa mai accaduta all’Ars e in qualsiasi altro parlamento». Documenti, testimoni e interesse nei confronti dei lavoratori che però, secondo i giudici e prima ancora i pm, non sarebbero i protagonisti di questa storia.

Il contributo unificato e gli assegni girati al proprio conto: 31.395,75 euro contestati
Al centro dell’indagine ci sono i rimborsi che ogni mese l’Ars prevede per le spese dei gruppi politici costituiti in quella legislatura: tra vari rialzi e tagli nel corso degli anni, si tratta di un minimo di tremila euro per ogni deputato, gestiti dal capogruppo. In questo caso, quindi, da Innocenzo Leontini, allora a capo del gruppo Pdl all’Ars. Se non fosse che, per un accordo tra partiti, le fila del Popolo della libertà avevano accolto anche i parlamentari di Alleanza nazionale, in una sorta di sotto-gruppo gestito proprio da Salvo Pogliese. In base all’accordo, il Pdl versava quasi ogni mese sui conti di An la quota parte del contributo spettante al sotto-gruppo. Secondo i pm, in totale, 364.438,26 euro su un contributo unificato di 1.566.571 euro. Da questi conti, a cui erano collegate anche carte bancomat utilizzate da Pogliese, nel corso degli anni sono partiti bonifici e assegni anche verso i conti personali dell’attuale sindaco. Creando, per l’accusa, non solo una serie di spese che nulla avevano a che vedere con le finalità del contributo, ma anche una confusione col patrimonio personale dell’ex deputato che poco si adatta a una gestione trasparente del denaro pubblico.

Carburante, ristoranti, fast-food e hotel: 41.183,13 euro contestati
Spese sostenute non solo a titolo personale, ma anche per parenti e amici. Come il soggiorno all’hotel Athenaeum di Palermo insieme ad autista, moglie, figlio, suoceri e altri ospiti non legati alla politica. Spese che si affiancano a quelle per i ristoranti – «anche in questo caso parte dei contributi pubblici è stata utilizzata in favore di soggetti diversi dal deputato» -, per la benzina e per le spese telefoniche. Tutti costi non solo illegittimi, secondo i giudici, ma già coperti da altri rimborsi percepiti da Pogliese: la diaria per le spese di soggiorno a Palermo, i buoni pasto presso il ristorante dell’Ars, l’indennità di trasporto su gomma «che Pogliese percepiva direttamente sul proprio conto» così come il rimborso forfettario di 4150 euro all’anno per le spese di rete sia mobile che fissa. «ln sostanza l’imputato ha lucrato un duplice rimborso per la medesima fonte di spesa», riassumono i togati.

La retta dell’asilo, i lavori allo studio e le ceste regalo: 2846,20 euro contestati
Dai 280 euro per pagare al figlio la scuola dell’infanzia ai 1366,20 euro utilizzati per l’acquisto di 40 ceste regalo consegnate presso lo studio di commercialisti diretto dal padre, Antonio Pogliese. «Regalie per cui sono stati utilizzati soldi pubblici, non in occasioni di specifici eventi istituzionali e non dirette a personalità istituzionali», si legge nel documento. In mezzo a questo capitolo di spese personali, anche 1200 euro per pagare parte dei lavori di ristrutturazione presso lo stesso studio del padre: maniglie delle porte, saldature e pittura. Spese che lasciano senza parole gli stessi giudici, per i quali «sul punto appare superfluo ogni ulteriore argomentare».

La tesi della difesa e la risposta dei giudici: «Niente documentazione, soldi e contratti in nero»
Per gli avvocati del sindaco una parte della somma contestata – circa 30mila euro -, farebbe parte del dieci per cento di contributo spettante alla presidenza del gruppo: «una indennità di carica sottratta, per definizione, a ogni inerenza funzionale ai fini pubblici». E quindi utilizzabile «per fini personali e fuori da qualsiasi autorizzazione e controllo», riassumono i giudici. Che non solo contestano alla base la teoria, ma fanno notare come Pogliese allora non presiedesse alcun gruppo, ma fosse vice-presidente pro-tempore del gruppo Pdl e gestisse il sotto-gruppo di An non ufficialmente riconosciuto. E, come se non bastasse, ricordano «che le spese oggetto di contestazione sono solo una minima parte di quelle assai più sostanziose accertate come irregolari o ingiustificate dalla guardia di finanza: per esempio prelievi da parte di Pogliese di contanti, attraverso le carte bancomat, per oltre 26mila euro, privi di alcuna giustificazione».

L’altra parte delle somme contestate, invece, per la difesa riguarda le somme che Pogliese si sarebbe ripreso dopo averle anticipate per far fronte a spese del gruppo i cui «conti erano in rosso». Eppure, secondo i giudici, «nei due conti vi era una iniziale giacenza di poco meno di 90mila euro e in seguito affluirono, durante la legislatura, ben oltre 540mila euro». Sono quelli che pubblicamente il sindaco ha indicato come stipendi e tfr dei dipendenti, più alcune spese per il funzionamento del gruppo. Sul punto, i giudici riportano le testimonianze di alcune persone chiamate dalla difesa. Come l’autista di Pogliese che ha raccontato di aver ricevuto 17mila euro di anticipo per stipendi e tredicesima. Somme, rispondono i togati, non si sa anticipate da quale conto e, soprattutto, «versate in nero e non documentate da qualche pur informale ricevuta di pagamento». Un caso non isolato, pare: «Diversi collaboratori operavano per il Pogliese e per il gruppo ex An senza alcun contratto – si legge nel documento – percependo in nero varie somme di denaro alle quali si faceva fronte attingendo alle somme concesse a titolo di contributo unificato». E non va meglio con gli esponenti politici locali chiamati a testimoniare: anche le piccole cifre che raccontano di aver ricevuto per attività di propaganda politica sarebbero per i giudici «non riferibili al funzionamento del gruppo all’Ars».

Riceviamo e pubblichiamo dallo studio legale Giampiero Torrisi, difensore di Salvo Pogliese

«Pogliese ha sempre coerentemente affermato che le somme contestate erano spese personali, a compensazione della sua indennità di funzione e delle somme personali anticipate per il gruppo o addirittura versate sul conto corrente del gruppo, quindi il riferimento alla duplicazione di rimborsi è del tutto errata e infondata. Le anticipazioni o i versamenti a vantaggio del gruppo (effettuati con bonifico e assegni, quindi perfettamente tracciate) non sono state negate neanche dallo stesso Tribunale, quindi non vi è alcuno “scollamento” fra le sue dichiarazioni e la sentenza ma anzi rappresentano una conferma della linearità della sua condotta. 

Il meccanismo della compensazione fra somme di cui il dott. Pogliese era creditore nei confronti del gruppo e quelle conseguenti a spese personali era perfettamente legittimo, previsto dai regolamenti e precedentemente valutato anche dalla stessa Procura della Repubblica di Palermo che ha chiesto e ottenuto l’archiviazione, nei confronti di altri deputati regionali, per vicende perfettamente sovrapponibili. Nessuna confusione fra patrimoni distinti, pertanto ma anzi una conferma di comportamenti corretti da parte di Pogliese. Il punto centrale è che il Tribunale di Palermo ha ritenuto di non riconoscere il diritto all’indennità di funzione (a cui il dott. Pogliese poteva accedere anche come vice presidente), senza tuttavia rispondere agli argomenti difensivi sul punto e senza valutare le sentenze della Corte dei Conti che riconoscono tale diritto. Le difficoltà del gruppo parlamentare PDL all’ARS, riferite agli anni 2008-2012, sono state accertate dalla Guardia di Finanza.

La persona che l’articolo definisce erroneamente come “autista di Pogliese” era in realtà un dipendente del gruppo parlamentare che svolgeva attività non solo per il dott. Pogliese ma per tutto il gruppo, come è emerso nel corso del dibattimento. Peraltro i pagamenti – fatti da conti personali del dott. Pogliese – avvenivano quasi sempre con assegno e dunque agevolmente tracciabili. nessuna altra spesa è stata contestata al dott. Pogliese – in alcuna sede – mentre per i prelievi in contanti è stato prosciolto dal GUP di Palermo, sentenza confermata e resa definitiva dalla Cassazione.


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