Per un costo di 136 mila euro, il progetto prevede il ripristino degli elementi con interventi di tipo conservativo, e sarà esposto in una struttura temporanea all’interno della Cappella Anzalone. Orlando: «Finalmente si ricompone questa meravigliosa opera, un altro esempio di una città che costruisce futuro sulle proprie radici del passato»
Spasimo, dopo 30 anni tornerà alla luce l’altare del Gagini L’opera, scomposta in 50 pezzi, sarà ultimata per gennaio
Dopo 500 anni dalla sua ‘nascita’, prendono il via da oggi i lavori di restauro del celebre altare del Gagini, scomposto in circa cinquanta pezzi, e conservato all’ interno del complesso monumentale di Santa Maria dello Spasimo, a Palermo. Il progetto prevede il ripristino degli elementi che lo compongono con interventi di tipo conservativo, e la loro ricomposizione in una struttura temporanea per l’esposizione all’interno della Cappella Anzalone, in fondo alla navata sinistra della chiesa, sebbene sia un punto diverso dal sito originario destinato all’opera. L’ultimazione dei lavori, per un costo di 136 mila euro, affidati all’Impresa A.T.I. Giovanna Comes Restauro Opere d’Arte di Catania e Nuova Cogiter di Gela, è prevista per gli inizi di gennaio 2019.
Un intervento reso possibile anche grazie alla caparbietà del lavoro di ricerca della professoressa Maria Antonietta Spadaro che nel 1986 ha indivuduato l’opera ormai data per dispersa da tutti gli storici d’arte. Come giganteschi frammenti di un puzzle (complessivamente l’altare supera i sei metri di altezza), la studiosa è riuscita a catalogare i singoli pezzi dell’altare e la predisposizione dell’ordine con cui verranno rimontati grazie a uno scatto dell’altare custodito nell’archivio fotografico della Soprintendenza, in via dell’Incoronazione. «Oggi è una grande festa» ha detto il sindaco Leoluca Orlando che, assieme all’assessore alla Rigenerazione urbana Emilio Arcuri e alla Cultura Andrea Cusumano, ha illustrato i lavori di restauro dell’altare allo Spasimo. «Credo che questo sia un atto dovuto alla storia di Palermo, ai palermitani e, in qualche modo, alla professoressa Spadaro che, insieme all’amministrazione è stata fortemente convinta che si dovessero ritrovare i pezzi – ha aggiunto – Finalmente si ricompone questa meravigliosa opera, un altro esempio di una città che costruisce futuro sulle proprie radici del passato». Un risultato importante per una delle più rare e preziose testimonianze della Palermo rinascimentale che mette la parola fine a un oblio lungo cinque secoli.
L’ incarico di realizzare l’opera con edicola marmorea per la chiesa di Santa Maria dello Spasimo, infatti, venne commissionato ad Antonello Gagini nel 1516 dal giureconsulto palermitano Giacomo Basilicò. L’altare, purtroppo ha avuto una vita assai travagliata, scandita da numerosi spostamenti perché la storia della chiesa è complicata così come quella del quadro che incorniciava, L’andata al calvario del maestro Raffaello Sanzio, portato via dalla Sicilia nel 1661 dal re di Spagna Fillippo III. L’odissea dell’altare ha inizio nel 1530 quando, per ragioni militari, si decise di realizzare la nuova cinta muraria della città, e il bastione più grande fu realizzato proprio dove sorge lo Spasimo. Così, i monaci dovettero andar via perché il complesso diventò prima zona militare per poi essere destinato, nel corso dei secoli, ad altri usi: teatro, magazzino, e ospedale.
L’altare, quindi, fu portato in un primo momento nella chiesa di Santo Spirito fuori le mura, quindi alla chiesa dei gesuiti sul Cassaro, trasformata a sua volta nell’androne della biblioteca centrale della Regione siciliana. Nel 1888, l’opera del Gagini fu trasferita nel Museo Nazionale (oggi Museo Salinas) ma, dopo la guerra, le opere archeologiche furono separate da quelle di età medievale e moderna per essere conservate al Museo Abatellis. Stranamente l’altare, forse per le sue dimensioni, fu restituito ai gesuiti che lo misero, senza montarlo, nella loro sede di Villa San Cataldo, a Bagheria. Dove è stato ritrovato nel 1986, dalla studiosa Spadafora. Curiosamente, sono dovuti passare altri 30 anni per ridare all’opera del Gagini la sua veste originaria. «Con la mia insistenza, la Soprintendenza e il Comune, nel momento in cui i gesuiti hanno lasciato quella sede, acquisita dalla Provincia, hanno recuperato tutti i pezzi che io avevo individuato disseminati tra i magazzini e il giardino. Allora ebbi la promessa che sarebbe stato rimontato immediatamente – conclude – Da allora sono passati 32 anni, per fortuna siamo qui a celebrare questa inaugurazione».