Sette piazze di spaccio in una sola via: i pusher tra post social e giuramenti d’amore

Sette piazze di spaccio nel giro di poche centinaia di metri: siamo nella zona di via Capo Passero a Catania. Uno dei centri nevralgici dello smercio di droga per tutto l’hinterland catanese. Ed è qui che, proprio qualche giorno fa, 35 persone sono state arrestate per vendita e detenzione di sostanze stupefacenti. In particolare marijuana, crack e cocaina. Non solo videoriprese e appostamenti. Ma anche le dichiarazioni rese da alcuni acquirenti dopo i sequestri e l’analisi di diversi profili social degli indagati hanno permesso di ricostruire il modus operandi del gruppo che avrebbe gestito le sette piazze di spaccio.

Le sette piazze di spaccio in via Capo Passero a Catania

Ognuna delle sette piazze della zona di via Capo Passero sarebbe stata ribattezzata in modo funzionale allo spaccio. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, la principale sarebbe stata senza dubbio quella denominata L’angolo e che si trova al numero civico 121 di via Capo Passero. Proprio davanti agli alloggi popolari della zona, alcuni dei quali di anni occupati in modo abusivo, sotto gli archi che avrebbero fatto da protezione – quasi naturale – alle attività illecite. Oltre L’angolo, nella stessa area circoscritta ci sarebbero state altre sei piazze di spaccio: Franzy, Paletti 2, Terrazza, Benzina, Piazzetta e Piazzetta notte. Non solo, anche ad alcuni punti strategici della zona il gruppo avrebbe dati dei nomi per comodità. Con Paletti, Rotonda e Parco giochi il gruppo avrebbe chiamato le tre arterie principali di accesso in via Capo Passero. Quelle dove posizionare alcune vedette.

I turni fissi

Per ciascuna delle sette piazze di spaccio di via Capo Passero a Catania ci sarebbero stati sei rigidi turni di lavoro per garantire l’attività senza soluzione di continuità. Con turnisti perfino minorenni tra cui il figlio di una nota tiktoker catanese. Chi monta all’una di notte smonta alle sei di mattina. Dopo uno stop di appena tre ore, si riprende con il turno che va dalle 9 alle 13. Niente pausa pranzo: c’è chi lavora, infatti, dalle 13 alle 15, prima di lasciare il posto all’altro turno pomeridiano fino alle 18. Seguito da chi presidierà la piazza fino alle 21 e successivamente poi fino all’una di notte. Un servizio quotidiano in cui gli spacciatori si danno il cambio garantendo così un servizio quasi ininterrotto. Stando ai calcoli degli inquirenti, ognuna delle piazze di spaccio avrebbe fruttato più di 200mila euro a settimana. Che, moltiplicato per sette, fa circa un milione e mezzo di euro settimanali.

Le vedette mobili e i patrozzi

Un business redditizio che richiede una organizzazione piramidale. Per ogni piazza ci sarebbe stato un capo-piazza che organizza i turni di lavoro. E, per fare in modo che vengano rispettati con rigidità, un capo-turno che tutti chiamano patrozzo «in segno di rispetto». Ruolo fondamentale sarebbe stato quello delle vedette: mobili sugli scooter pronte a scattare per segnalare l’eventuale arrivo delle forze dell’ordine e fisse con le radioline ricetrasmittenti nel marsupio a tracolla per diramare l’allarme. «Leo» sarebbe stata la parola d’ordine urlata a ripetizione come segnale delle vedette per allarmare la piazza di spaccio della presenza delle forze dell’ordine. Ma non sempre tutto avrebbe funzionato alla perfezione, basta una piccola distrazione e il rischio e dietro l’angolo: «Ragazzi, mi stavano quasi per prendere. Ma com’è che non avete segnalato la Bravo di Gravina?», è il rimprovero di uno dei pusher dopo avere visto l’auto dei carabinieri.

Dagli abiti rossi al mefisto nero

Ma c’è anche chi, distratto come Alessandro Arena (il gestore della piazza di spaccio Terrazza adesso finito in carcere), non riconosce la gazzella. E, scambiando i militari per potenziali acquirenti, li avvicina per proporre la merce. Salvo poi darsi alla fuga sotto i portici al primo sospetto sull’identità degli interlocutori. Qualcuno è più spavaldo e continua a vendere droga al civico 81 di via Capo Passero, noncurante del fatto che, nel frattempo, al numero 121 delle stessa strada è in corso un controllo da parte delle forze dell’ordine. C’è chi prova a nascondersi cercando di mantenere un comportamento più discreto, ma viene tradito da un dettaglio. Simone Di Mauro (anche lui in carcere), nonostante provi a celare il viso dietro una bandana di colore nero, si rende più riconoscibile perché per giorni indossa gli stessi indumenti di un colore rosso sgargiante. Di contro, altri durante turni considerati più rischiosi lavora prendendo delle precauzioni: c’è chi come Giuseppe Privitera (ora ai domiciliari) si nasconde dietro un casco grigio; e chi addirittura – come Santo Tempera (in carcere), indossa un mefisto di colore nero.

«Dove ho giurato fedeltà, non ho mai tradito»

Un mefisto nero che compare anche sul profilo Instagram di un altro degli indagati. Antonino Orazio Saraniti (finito in carcere) che, sui social, è noto con il nickname Akiller2003. Senza temere nulla, pubblica foto scattate anche durante l’attività di spaccio. Istantanee che non sono passate inosservate nemmeno agli investigatori. Il giovane classe 2003 è facilmente riconoscibile da un vistoso tatuaggio sul collo con la scritta Tino. Un segno inciso sulla pelle in memoria del fratello Agatino Saraniti, il 18enne ammazzato a colpi di fucile la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 alla Piana di Catania. Nella foto pubblicata su Instagram è insieme al suo capoturno Antonino Pillera e ad altri presunti spacciatori finiti indagati. Sono tutti a L’Angolo, sotto i portici al civico 121 di via di Capo Passero. «Family» è l’unica parola a corredo dell’immagine. Nel post una frase che suona come una dichiarazione d’amore ma che, invece, sottolinea l’appartenenza alla famiglia Pillera. «Dove ho giurato fedeltà, non ho mai tradito. Ti amo patrozzo A.P.» che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sono le iniziali di Antonino Pillera.


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