A mettere un primo punto nella controversia tra Palazzo degli elefanti e la multinazionale svedese è stato il tribunale amministrativo che ha disposto la sospensione della determina con cui si chiedeva all'azienda il pagamento degli oneri di concessione del 2005
Sospesa la richiesta di tre milioni del Comune a Ikea L’errore di 14 anni fa potrebbe costare caro all’ente
«Fumus boni juris», ovvero «parvenza di buon diritto». È questa locuzione latina di origine medievale a mettere un primo punto nella controversia tra il Comune di Catania e l’Ikea, a favore di quest’ultima. Un’ordinanza del tribunale amministrativo regionale ha, infatti, disposto la sospensione in autotutela della determina dirigenziale dello scorso luglio con cui l’ente comunale etneo chiedeva oltre 3 milioni di euro (3.182.858,02 euro per la precisione) all’azienda multinazionale svedese per il contributo della concessione edificatoria rilasciato nel 2005 alla ex Iko2 Srl per la struttura – di oltre 29mila metri quadrati – costruita in contrada Buttaceto, via Passo del Cavaliere alla zona industriale di Catania.
L’errore fatto quasi tre lustri fa dagli uffici etnei è venuto fuori durante una pre-istruttoria per un nuovo intervento edilizio nella zona industriale. Durante l’iter per fissare il contributo che il privato avrebbe dovuto versare all’amministrazione, è stato accertato che il rilascio della concessione edificatoria per la realizzazione dell’Ikea è avvenuto senza la richiesta di alcun contributo concessorio. Un errore di interpretazione e di valutazione che è costato caro a Palazzo degli elefanti.
Adesso è la sezione di Catania del Tar ad avere disposto la sospensione della determina dirigenziale e degli altri atti impugnati con il ricorso presentato «per l’accertamento dell’insussistenza in capo a Ikea Italia Retail Srl di qualsiasi obbligo di corrispondere somme a titolo di contributi concessori in relazione all’immobile – si legge nel documento pubblicato sul sito del Comune etneo – in quanto, da una prima e sommaria deliberazione, non appare manifestamente sfornita del prescritto requisito del “fumus boni juris” la censura dedotta dalla parte ricorrente in ordine alla prescrizione del diritto di credito vantato con gli atti impugnati».
Tutto sta in quella espressione in latino usata per indicare la possibilità dell’esistenza di un diritto, anche se in mancanza di un accertamento definitivo. Il fumus boni juris è un presupposto necessario per ottenere, nell’ambito del processo civile, un provvedimento di tutela cautelare. Lo scopo di questo giudizio sommario è di evitare che il tempo necessario per l’accertamento pieno del diritto renda infruttuosa o tardiva la tutela.
L’udienza per la trattazione del merito è stata fissata per il 7 ottobre 2020. Intanto, l’ultima frase del documento pubblicato anche sull’albo pretorio lascia ancora aperta una possibilità per l’ente comunale etneo: «Contro il presente provvedimento è ammesso, entro 60 giorni dalla notifica, il ricorso al tribunale amministrativo regionale».