Il soprintendente Antonio Fiumefreddo ha esposto un grande crocifisso sulla facciata del Teatro Massimo Bellini di Catania per protestare contro la pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo. Ma il viceparroco di San Pietro e Paolo gli scrive: «E' un simbolo di fede, non un collante di identità etniche e nazionali». Ecco il testo della lettera
«Soprintendente, tolga quella croce»
Caro Antonio,
ti prego, togli la croce dalla facciata del Teatro Bellini! Non so cosa ne pensano preti e vescovi della tua iniziativa, come dell’altra di consacrare il teatro alla Madonna, ma, conoscendo l’humour clericale, credo che, sotto i baffi, si stiano facendo una bella risata; e anche Cristo, dall’alto dei cieli, vedendosi appeso fra Violetta e Norma stia sussurrando: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
La croce, caro Antonio, non si appende alle pareti; i cristiani sanno che si carica sulle proprie spalle per incamminarsi con essa dietro Gesù Cristo. Il Vangelo è una cosa seria. Un luogo come un teatro, a prescindere da ciò che accade all’interno delle sue mura non è il più adatto per metterne in evidenza le esigenze.
Il Crocifisso è il simbolo della fede. Non è un simbolo culturale o un collante di identità etniche e nazionali. Ridurlo a questo vuol dire depauperarlo, svuotarlo, impoverirlo di significato; ed è quello che è esattamente avvenuto: abbiamo aule scolastiche e aule di tribunali piene di crocifissi appesi al muro e vuote di cristiani, veri ed autentici…
Per favore, togli Cristo dai muri del teatro! Credimi! Non è a suo agio!
Con cordialità!
Salvatore Resca
vice parroco dei Santi Pietro e Paolo
Via Siena, 1 Catania