Smorfie: esperimento su tre musicisti

Ascoltare. Forse una delle capacità meno sviluppate nell’uomo, non per propria mancanza, bensì per pura svogliatezza. Solo in pochi riescono completamente ad abbandonarsi tra le longitudini del suono, che sia il più banale ritornello di una canzone o la Nona Sinfonia di Beethoven. Poiché credo fermamente che la musica tocchi le corde dell’essenza primaria di cui siamo fatti, credo che ognuno di noi può essere in grado di vivere una vera estasi mistica attraverso la musica. Per chi ascolta, però, è più arduo, poiché la musica colpisce solo indirettamente la nostra interiorità, nonostante conosciamo bene quel palpito tra il cuore e la gola che subiamo quando ascoltiamo un buon concerto.

Chi davvero modella la sua anima attraverso il suono, per dare a noi altri quell’emozione senza eguali, è il musicista. Credo questo perché la musica si serve degli uomini come fabbricanti delle sue forme più auliche, in modo da pervenire anche a coloro che non distinguono neppure la differenza tra un pianoforte e un clavicembalo. Ho notato che è più facile di quanto si pensi distinguere chi ‘Suona’ da chi suona. Infatti, oltre ad udire la qualità del suono, dovremmo soffermarci su come stranamente cambino le linee espressive del volto di un musicista. Vi è mai capitato di ridere per le buffe smorfie che il musicista fa inconsapevolmente durante l’esecuzione di un pezzo? Aggrotta le sopracciglia, si morde il labbro, gli vengono delle strane rughe sulla fronte…

Per spiegare che la musica, come gli occhi, può essere specchio dell’anima, ho proposto a tre persone, due donne e un uomo, di età diverse e con differenti strumenti, di suonare uno stesso pezzo, Libertango di Astor Piazzolla.

La prima ad esibirsi è stata una pianista. Non confessandole, come non ho fatto con gli altri, il motivo che mi spingeva a sentir suonare quel pezzo, sono riuscita a cogliere ciò che volevo. Tutto all’inizio sembrava normale, come se stesse riproducendo soltanto le note disegnate sul pentagramma. Pian piano però mi accorsi che più la musica si faceva vibrante ed intensa più il suo sguardo non era rimasto fisso sui fogli pentagrammati ma stava concentrato sulla testata del pianoforte, semplicemente perso e felice. Più volte chiudeva gli occhi o sorrideva, ed io non avevo fatto nessuna battuta… in effetti non mi ha guardato durante tutta l’esecuzione del pezzo, quasi non fossi nella stanza. Tutta la sua energia la imprimeva attraverso piccole scosse che dava con la testa, come se stesse dirigendo le mani sulla tastiera attraverso dei fili immaginari legati alle sue pupille mentre veniva trascinata nei profondi abissi della musica.

Il secondo, con il suo flicorno soprano, è un musicista che oramai suona raramente ed esclusivamente per diletto personale. Anche qui la musica iniziò senza portar con sé strani eventi, ed anche questa volta dopo poco iniziai a notare i primi cambiamenti. La fronte si aggrottava sempre più, gli occhi si riducevano a fessure, le orecchie diventavano leggermente più rosse mentre tutto il resto sembrava giacere in un’inquietante immobilità. La musica congiungeva pace e tormento, quiete e ansia, in un connubio tanto impossibile quanto meraviglioso. E pensare che tutto questo può avvenire perché l’essere umano riesce a riflettere il suo meglio attraverso la musica!

Infine ho ascoltato lo stesso pezzo suonato da una violinista. A dir la verità lo suonò due volte. La prima non andò come speravo, non colsi nulla nel volto o nelle movenze e diedi la colpa al fatto che le distrazioni quotidiane uccidono anche gli animi migliori. Ma la seconda volta trovai quel che cercavo. Ci tenevo particolarmente a vederla suonare, perché sapevo già quale straordinario rapporto avesse con il suo strumento durante un’esecuzione. Pochi istanti dopo l’inizio del brano, vedevo che cominciava a trasformarsi. Il violino non era più un semplice pezzo di legno, lo reggeva con la stessa espressione premurosa e beata di una madre quando tiene in braccio il suo neonato. Notavo che alle volte apriva e chiudeva la bocca, dondolando testa e busto quasi come se stesse cantando una ninna nanna, e stirava il viso preoccupata come se in alcuni momenti non riuscisse più neanche lei a riconoscere cosa stesse reggendo tra la mano, la spalla ed il mento.

Magica, ancestrale, semplice, moderna, classica, divina, passionale, romantica… qualsiasi aggettivo affibbiamo alla musica, ogni abito le starà d’incanto. Nella musica ognuno di noi può essere ciò che vuole, può vederci ciò che vuole, dall’amore della vita alla madre della propria esistenza, all’unico motivo per lottare, al mondo fantastico dove nascondersi. La musica attraversa razze, specie, spazio, tempo e materia e si ferma solo su chi vuole condividerne e contemplarne la bellezza. I musicisti sono piccoli creatori, che modellano sulle loro anime quei suoni capaci di suscitare felicità o tristezza anche nei cuori più sordi.

Questo elaborato è nato grazie all’esperienza vissuta al “Laboratorio di ascolto musicale” della Facoltà di Lingue di Catania. Grazie a questo medialab, io e gli altri miei colleghi abbiamo potuto apprendere l’importanza di saper ascoltare un genere musicale che pochi ragazzi apprezzano, ovvero la musica classica. Le lezioni, svolte tra teoria musicale ed ascolto dei più grandi compositori di musica classica e non solo, hanno sensibilizzato noi giovani, arricchito le nostre esperienze musicali e tolto quello stereotipo che molti ragazzi hanno, ovvero credere che la musica classica sia solo ‘roba antica’. Io inviterei tutti voi a partecipare a questo laboratorio e ai concerti o anche ad assistere alle esibizioni musicali dei vostri amici, parenti e conoscenti; la musica classica è più appassionante ed emozionante di quanto si possa pensare.


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