L'uomo sarebbe organizzatore e ideatore di un'associazione a delinquere specializzata in reati tributari. Ci sarebbe riuscito grazie alla Confimed e a una schiera di colletti bianchi. «Innegabile la falsità dei crediti utilizzati in compensazione», scrive la gip
Sistema Paladino, il commercialista diventato dominus Frode milionaria pure con coop da 150 euro di capitale
Organizzatore, ideatore e capo. In una parola «dominus». Nelle carte dell’inchiesta Fake credits sulla presunta associazione a delinquere specializzata in reati tributari i magistrati non usano mezze parole per tratteggiare il profilo di Antonio Paladino. Il commercialista arrestato ieri che nel 2012 si era candidato con due partiti diversi nella stessa tornata elettorale. Da diversi mesi di Paladino si era tornato a parlare nell’ambito della trattativa per l’acquisto del Calcio Catania. Prima come vicepresidente del comitato promotore e poi come uomo chiave di Sigi (non coinvolta), con tanto di partecipazione nel capitale sociale e un servizio di consulenza per l’azienda nata appositamente per tentare la scalata al club rossazzurro.
Il commercialista avrebbe svolto «il ruolo di controllore per un maxi-giro di compensazioni», si legge nell’ordinanza firmata dalla giudice Giuseppina Montuori. Paladino è accusato di avere organizzato una rosa di società cartiere, spesso intestate a prestanomi, che commercializzavano il credito d’imposta Iva. Istituto che consente a chi vende di intascare liquidità mentre per chi compra c’è la possibilità, risparmiando, di potere sanare la propria posizione debitoria verso l’erario. Nel caso specifico per i militari del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza i crediti tributari venduti erano fasulli. Questo grazie a una schiera di colletti bianchi, tutti commercialisti, che ne attestavano l’esistenza con dei visti di conformità farlocchi. «I certificatori – scrivono i magistrati – non richiedevano l’invio di alcun tipo di documentazione contabile necessaria a effettuare i controlli previsti». Tra coloro che avrebbero svolto questa mansione ci sarebbe anche Giuseppina Licciardello: commercialista finita ai domiciliari, appartenente allo studio Paladino e anche lei dentro Sigi con il ruolo di presidente del collegio sindacale.
In questo sistema di compravendita la gestione del flusso di denaro spettava alla Confimed, una confederazione d’imprese – presieduta da Paladino – con sede a Roma e uffici in via Napoli a Catania, allo stesso civico di Sigi. «Una vera e propria camera di compensazione», viene identificata dagli inquirenti. «Tutti gli imprenditori coinvolti nelle operazioni tributarie fraudolente – aggiungono – operavano attraverso la mediazione di Confimed». Tra le società coinvolte compare la cooperativa sociale Ariel, il cui rappresentante legale Renato Balsamo è il terzo nome legato a Sigi di cui è presidente del consiglio d’amministrazione.
La genesi dell’indagine
Una verifica fiscale come tante, la scoperta di qualcosa che non andava e il sospetto che più che un caso isolato, si potesse trattare di un pezzo di un puzzle più grande. Gigantesco. L’inchiesta di fatto comincia l’11 marzo dell’anno scorso, quando la finanza passa a setaccio la situazione contabile dell’A.N.C.R., istituto di vigilanza privata con sede a Belpasso. Dall’attività ispettiva emerge l’uso di un credito d’Iva del valore di tre milioni di euro. A cedere il credito – maturato nel 2017 – era stata la cooperativa Job Act.
Dalle indagini condotte dai militari del nucleo economico-finanziario, è emerso come la Job Act di fatto non avesse per nulla i requisiti per poter vantare quel tipo di credito, risultando poco più di una cartiera vuota. La società, infatti, era domiciliata a un civico inesistente (il 354 di viale Monza a Milano) e soprattutto aveva un giro d’affari risibile. A costituirla, nel 2014, erano stati tre cittadini egiziani con un capitale sociale di appena 150 euro. Nonostante ciò, Paladino e soci avrebbero creato le condizioni per cedere un credito da tre milioni di euro all’istituto di vigilanza al costo di due milioni e 250mila euro. Un’operazione di cui avrebbero beneficiato tutti: l’A.N.C.R., per la possibilità di saldare debiti più corposi, e Confimed, nei cui conti confluivano – secondo la ricostruzione degli inquirenti – tutte le somme inerenti le compravendite. Tuttavia dopo l’ispezione dei militari gli imprenditori Claudia e Salvatore Debole, finiti indagati, sostengono di essere vittime.
L’asse Roma-Catania
Per la procura di Catania, il sistema governato da Paladino avrebbe «ricalcato un modello criminale romano» con protagonista un avvocato arrestato l’anno scorso (non coinvolto in questa indagine) con accuse simili a quelle oggi rivolte al commercialista. Si tratta di Michele Alfredo Paese, 57enne a cui i finanzieri trovarono 16 lingotti d’oro nell’appartamento della ex moglie e con contatti importanti in Tanzania. Che Paladino e Paese non solo si conoscano ma siano legati da rapporti professionali non è soltanto un convincimento dei magistrati. Ad ammettere il contatto è lo stesso commercialista etneo, nel corsi di una telefonata. Una delle poche conversazioni che non sono passate da Telegram o Whatsapp. È il 31 luglio, pochi giorni dopo il blitz che aveva sorpreso l’avvocato romano a Ponza, mentre era in barca. «Quello là, ce ne hanno sequestrati di meno soldi», dice Paladino. Per poi aggiungere: «Iddu mi puttau sti cristiani, considera che questo avvocato, Michele Paese, in televisione lo hanno intervistato. Su Sky». L’iddu è Cipriano Sciacca, marsalese finito nella stessa inchiesta di Paese. Sciacca – vicino al Movimento cristiano lavoratori e attivo nel settore dell’accoglienza dei migranti – è ritenuto uno degli ingranaggi della macchina che avrebbe prodotto crediti inesistenti nell’inchiesta romana. «Con l’elicottero ci sono andati da lui», ironizzava Paladino parlando dell’intervento delle forze dell’ordine. Senza sapere che un anno dopo le sirene sarebbero suonate per lui.