L'ultimo episodio in una palestra porta a nove gli atti di intimidazione ad attività commerciali negli ultimi mesi. A complicare le indagini è soprattutto l'eterogeneità delle vittime. «Sembra una sorta di Isis siracusana», spiega uno degli imprenditori colpiti. «Qui ancora troppi pagano il pizzo, ma bisogna denunciare», attacca Caligiore
Siracusa tra bombe carta, roghi e troppi silenzi «C’è allarme, ma non siamo tornati agli anni ’90»
Alle sei del mattino del 18 novembre
un boato sveglia uno degli investigatori impegnati a capire cosa sta succedendo in questi giorni a Siracusa. La sua telefonata ai colleghi per verificare quanto accaduto resterà l’unica della giornata. Nessuno ha visto niente, nonostante l’ordigno che ha pesantemente danneggiato la macchina di un rivenditore di dolciumi sia esploso in viale Tica, zona bene del capoluogo, nel cortile interno di un condominio privato. Zero segnalazioni anche quattro giorni prima, per l’incendio alla vettura del sindaco, Giancarlo Garozzo. Questa volta le fiamme sono divampate alle 18 in viale Santa Panagia, di fronte a due palazzoni in cui abitano una ottantina di famiglie. Bombe carta e silenzio: sono al momento i due comuni denominatori degli episodi che hanno scosso la città negli ultimi mesi. L’ultimo la notte tra lunedì e martedì: il portone della palestra B-Zone Asd, in via Spagna, bruciato.
«Non credo sia possibile che nessuno abbia mai visto nulla in tutti questi casi».
Paolo Caligiore è il coordinatore provinciale delle associazioni antiracket della provincia. Uno che le richieste di pizzo e le intimidazioni le ha vissute sulla propria pelle, in maniera pesante, all’inizio degli anni ’90. «Anche io conosco le lacrime, ma le mie erano di rabbia». Da allora è in prima linea per consigliare, sostenere, collaborare con commercianti e imprenditori che vogliono cambiare. «Quando a piangere è una ragazza di 25 anni, impaurita, come fai a non aiutarla?». Secondo Caligiore a Siracusa il pizzo lo pagano in tanti, troppi, «anche se i riflettori si stanno accendendo solo adesso». Una prassi che sarebbe ancora consolidata, nonostante le forze dell’ordine abbiano fatto un passo importante per sollecitare le persone a collaborare: non pretendere l’obbligo di denuncia. «Basta rivolgersi alle associazioni antiracket, andare insieme dalle forze dell’ordine e spiegare cosa succede, far capire la situazione del pizzo a Siracusa. I commercianti hanno un obbligo morale: chi paga deve denunciare».
Ma quanto c’entra il racket con l’escalation di incendi e bombe carta alle attività commerciali? Gli inquirenti non escludono ancora nessuna ipotesi e le indagini proseguono a 360 gradi.
A spiazzare è soprattutto l’eterogeneità delle vittime: dal giovane attivista impegnato nelle battaglie ambientaliste a esercenti che hanno già avuto precedenti con la giustizia; c’è chi ha aperto da poco la propria attività e chi ha alle spalle anni di esperienza nel settore; chi si è da subito mostrato disponibile a collaborare con le forze dell’ordine e chi si è limitato a denunciare il minimo indispensabile. Unica cosa in comune: tutti giurano di non aver avuto richieste esplicite di pizzo, né prima né dopo il danneggiamento. Un altro elemento di apparente continuità è la categoria merceologica: paninerie, pub, panificio, pizzeria-rosticceria, rappresentante di dolciumi. Tutti orbitanti intorno al settore della ristorazione. Una pista investigativa che però non sembra convincere del tutto le forze dell’ordine, soprattutto dopo i danneggiamenti al barbiere e alla palestra.
Restano, tuttavia, le differenze, più che le analogie, a rendere complicato il lavoro degli investigatori: difficile soprattutto trovare cause comuni ai gesti, ma dall’altra parte le modalità – soprattutto l’uso ricorrente delle bombe carte,
ordigni rudimentali, molto simili ai classici petardoni illegali che esplodono negli stadi – lasciano presupporre un’unica regia. Che ha già ottenuto un effetto: creare allarme sociale. «Sembra quasi una sorta di Isis siracusana – la definisce l’ambientalista Carlo Gradenigo, tra i primi a essere colpiti da una bomba carta – che serve a creare un clima di tensione». I media, anche quelli nazionali, se ne sono accorti. Le forze dell’ordine stanno intensificando al massimo i propri sforzi: su Siracusa improvvisamente sono piovute attenzioni inusuali, certamente fastidiose per chi, tra la criminalità, controlla il territorio. Ecco perché una delle ipotesi che si fa strada è quella di una criminalità nuova, probabilmente giovane, interessata a rompere gli schemi consolidati.
Un’altra strada, invece, sembrerebbero seguire le indagini sull’incendio all’auto del sindaco Garozzo. Un episodio a sé stante secondo gli investigatori che cercano di capire quale provvedimento, del primo cittadino ma più in generale dell’intera amministrazione comunale, possa aver dato fastidio al punto da scatenare una reazione violenta.
Intanto, fra i silenzi e il disinteresse di una parte della cittadinanza, c’è anche
una società civile che non si ferma all’indignazione sui social network. Un corteo per la legalità è stato organizzato per giovedì 30 novembre dalle associazioni locali e dalle realtà operanti sul territorio. «Lo slogan sarà Uniti contro la criminalità – spiega Gradenigo – e non usiamo la parola mafia non per paura, ma per rispetto delle indagini, perché non sappiamo ancora cosa ci sia dietro questi eventi». «Non è vero che siamo tornati agli anni ’80-’90 – gli fa eco Caligiore -. Senza voler sminuire il fenomeno attuale, è bene far emergere che la situazione è completamente diversa: c’è una forte attenzione da parte delle forze dell’ordine, una sensibilità da parte della società civile e, soprattutto, la delinquenza non è quella feroce di allora».