Su Facebook diventa sempre più ricorrente il confronto con i decenni bui della città, alla luce della catena di bombe carta e incendi alle attività commerciali. Preoccupazione che si riscontra anche girando per le strade, dove però c'è chi si ricorda di quel periodo e invita a non fare paragoni azzardati. Guarda il video
Siracusa, gli atti intimidatori visti dai cittadini Chi rievoca gli anni ’90 e chi respinge i paragoni
Una delle vittime delle intimidazioni l’ha definito «una sorta di Isis in salsa siracusana». La catena di bombe carta e incendi alle attività commerciali che negli ultimi mesi ha scosso Siracusa, ha prodotto un primo risultato: destare allarme sociale. La preoccupazione, camminando per le strade del capoluogo, è palpabile, nonostante nessuno abbia chiamato le forze dell’ordine per fornire un contributo alle indagini. «Se ne parla in ufficio, io alcuni boati li ho proprio sentiti», racconta una donna. A soffiare sul fuoco dell’enfatizzazione contribuiscono i social network, dove sta diventando un mantra il paragone con gli anni ’80 e ’90. Parole che riecheggiano anche in strada. «Mi sento catapultata indietro nel tempo – afferma un’altra donna – ero andata via da Siracusa nei primi anni 2000, sono tornata da poco e non ho più trovato la città tranquilla che conoscevo». «Siracusa è cambiata – le fa eco un’anziana di origini campane che racconta di essersi innamorata della città da giovane al punto da decidere di passarci tutta la sua vita – rapine, scippi, bombe, non la riconosco più».
Ma chi ha davvero memoria dei decenni passati, non ci sta a dare adito al paragone. «Non scherziamo – attacca una mamma, con accanto la figlia adolescente – io ricordo le bombe vere messe ai negozi alla fine degli anni ’80, niente a che vedere con quelle di oggi». Una tesi, quest’ultima, sostenuta anche dal referente delle associazioni antiracket della provincia, Paolo Caligiore, che rinnova l’appello a denunciare: «Siamo riusciti a raggiungere un traguardo importante: la denuncia senza mettere niente per iscritto, basta andare dalle forze dell’ordine e fornire il proprio contributo».