Riprendiamo dalla tribù l'intervento di Vincenzo Bonaccorsi sulla fabbrica campana della Fiat i cui operai sono stati chiamati a pronunciarsi sull'accordo tra management e parte dei sindacati per la produzione della Panda (attualmente costruita in Polonia). Più del 60% dei dipendenti ha detto sì a un documento incentrato sulla "metrica del lavoro"
Simone Weil e Charlot a Pomigliano d’Arco
Come si lavora nelle fabbriche? Qual è oggi la condizione operaia?
Nel 1934 per averne diretta esperienza una straordinaria insegnante di filosofia venticinquenne, lasciò la cattedra e si fece assumere alla Renault, trascorse un inverno alla catena di montaggio e scrisse un diario pubblicato poi col titolo La condizione operaia: “Per me, personalmente, lavorare in fabbrica ha voluto dire, che tutte le ragioni esterne sulle quali si fondavano la coscienza della mia dignità e il rispetto di me stessa, sono state radicalmente spezzate, in due o tre settimane, sotto i colpi di una costrizione brutale e quotidiana”.
Roba d’altri tempi, memorie avvolte nelle nebbie del novecento, come la tragica esistenza di Simone Weil, la filosofa-operaia, o la comicità anarchica e poetica di Charlie Chaplin in Tempi moderni.
Eppure sembra che l’umidità di quelle nebbie impregni ancora l’aria che respiriamo quando leggiamo i resoconti sulla vicenda di Pomigliano, e Luciano Gallino (uno dei pochi che vale la pena di ascoltare su questo argomento) ci spiega che “ben 19 pagine sulle 36 del documento Fiat consegnato ai sindacati a fine maggio sono dedicate alla “metrica del lavoro”. Si tratta dei metodi per determinare preventivamente i movimenti che un operaio deve compiere per effettuare una certa operazione, e dei tempi in cui deve eseguirli; misurati, si noti, al centesimo di secondo. Per certi aspetti si tratta di roba vecchia: i cronotecnici e l’analisi dei tempi e dei metodi erano presenti al Lingotto fin dagli anni 20” (Repubblica 14.6.2010).
…Roba vecchia… Era il 197O o 71 quando vidi a Catania uno spettacolo, che veniva portato in giro per l’Italia, dal titolo assai strano: “MTM, come rendere musicale e quasi dilettevole tutto ciò che a prima vista sembra sofferenza e fatica”, a un certo punto sulla scena c’era un tipo che si metteva accovacciato davanti a una sedia e batteva un ritmo sempre più travolgente sul sedile di legno cantando queste parole: “Prima avevo la bicicletta / poi ho comprato una lambretta / ora ho la Fiat Cinquecento / quando guido sono contento / Mi piace tanto il traffico / mi piacciono i semafori / per questo sono andato / alla catena in fabbrica: / là c’è un semaforo / tutto per me! / Quando è rosso poso il pezzo, / quando è verde il mio vicino / prende il pezzo con la mano / ritmo ritmo verde rosso. / Verde e rosso prendi il pezzo / Non conosco il mio vicino / non lo vedo neanche in faccia. / Ci tocchiamo con le braccia / Non importa quel che conta è / Ritmo ritmo prendi il pezzo / Verde e rosso – verde rosso …”. Quel tipo era Enzo Del Re e gli altri il Collettivo Nuova Scena, e lo spettacolo parlava del Metod Time Mesurement: “I movimenti elementari di un lavoratore vengono scomposti in cento millesimi di minuto, e ad ogni parte del corpo, dagli occhi al piede, viene assegnato un compito con un preciso tempo di esecuzione. Non è fantascienza. Per il movimento degli occhi: 15 centomillesimi di minuto. Tutto questo è scritto sui libri che trattano dell’organizzazione scientifica del lavoro, dove i cosiddetti cronotecnici (analisti dei tempi e metodi), spiegano scientificamente le varie formule per ogni movimento elementare che l’operaio deve compiere” (dalla prefazione al testo dello spettacolo, in Compagni senza censura, Mazzotta, 1970).
…Roba vecchia, qualsiasi manuale scolastico insegna che il taylorismo risale ai primi del novecento. E il novecento è un “secolo breve”, non era ancora neanche cominciato e dovrebbe essere finito da un pezzo… Ne dovremmo essere convinti guardando il bel sorriso di Bridie Tucker. Lo avete notato anche voi? Sulle pagine dei quotidiani, il volto luminoso dell’operaia di Burnston, Regno Unito, che ci dice: “posso fermare la linea di produzione ogni volta che serve”. È una pubblicità della Toyota, in rete, nel loro sito, trovate un video che fa vedere Bridie al lavoro, e non assomiglia a Charlot incastrato negli ingranaggi e non fa pensare alle sofferenze descritte dalla Weil, spiega l’uso della corda Andon, vanto del toyotismo, il nuovo modo di produrre, che responsabilizza gli operai: “la corda dà ad ogni dipendente lo stesso potere del direttore dello stabilimento, perché gli permette di interrompere la produzione”, ci dice Bridie orgogliosa e sorridente. Ma allora? E per giunta il toyotismo non è nemmeno l’ultimo grido, è nato dopo la seconda guerra mondiale, con i nuovi metodi di organizzazione del lavoro inventati dall’ingegner Taiichi Ohno, la lean production, la produzione snella che avrebbe dovuto mettere in soffitta il fordismo, dimostrando che la grande razionalità della fabbrica dei Tempi moderni, era…stupida.
Eppure i cronotecnici sono ancora lì, e invece di MTM alla Fiat o alla Piaggio si dice TMC2, tempi e movimenti collegati, ed è sempre la stessa cosa: tabelle, con misurazioni al centesimo di secondo di movimenti del corpo umano per stabilire il “passo” che gli operai devono tenere alla catena di montaggio.
Nel 2008 la FIOM ha pubblicato i risultati di una grande inchiesta sul lavoro dei metalmeccanici e vi era scritto: “Sul tema degli orari e dell’organizzazione del lavoro i dati dell’inchiesta mostrano una realtà in cui vecchie e nuove pratiche si sovrappongono e si intrecciano: non sparisce affatto la vecchia condizione taylorista, ma si trasforma con un aggravio di fatica, stress e insicurezza sociale (…) Per la maggior parte degli intervistati – tanto più tra le donne – il lavoro è ripetitivo (65%) e molto parcellizzato (atti e movimenti ripetitivi durano anche meno di 30 secondi), monotono (53%) e con ritmi di lavoro elevati (51%), dettati soprattutto da obiettivi di produzione, ma spesso anche dalla velocità di una macchina e dal controllo dei capi (soprattutto per gli operai ma anche per gli impiegati). I margini di autonomia reale – soprattutto per gli operai ma in parte anche per gli impiegati – sono molto ridotti, basti pensare che un operaio su quattro (24,4%) dichiara di non poter fare una pausa quando ne sente il bisogno. A questa condizione tipicamente taylorista si sovrappone – e non si sostituisce – l’aggravio di fatica e di responsabilità determinato dagli elementi legati alle richieste di qualità, così che i lavoratori oltre alle asprezze e alle monotonie del taylorismo subiscono anche le pretese e i rischi del postfordismo”.
Ora ci sarà la sarabanda dei commenti all’esito del referendum di Pomigliano, e il coro di quelli che parleranno con malcelato disprezzo di chi non capisce “le sfide che abbiamo davanti” e si ostina con atteggiamenti sorpassati, richiami alla Costituzione, allo Statuto dei lavoratori…roba vecchia….ma le tabelle per la misurazione dei tempi e movimenti collegati quando diventeranno archeologia industriale?