Nosaworu Otoriyekemwen, detto Julius, parla da alcuni mesi con i magistrati della procura di Palermo. La sua ascesa è partita da Catania. La stessa città che per anni ha ospitato un altro barone della droga, Gabriel Ugiagbe, anche lui nel mirino dei nostri 007
Si pente uno dei capi della mafia nigeriana in Sicilia «Dal 2013 ho fornito informazioni ai servizi segreti»
Una vita passata indossando maschere sempre diverse. I più lo conoscevano come il gestore di un disco pub particolarmente in voga tra i residenti del rione San Berillo, a Catania. Per altri, invece, era anche uno degli uomini più autorevoli della mafia nigeriana in Sicilia. Capace di attirare le attenzione dei nostri servizi segreti che, almeno dal 2013, potrebbero averlo utilizzato come una preziosa fonte di informazioni. Adesso Nosaworu Otoriyekemwen, meglio noto come Julius, è diventato un collaboratore di giustizia. L’ultimo pentito della Cosa nera. L’ufficialità arriva attraverso alcuni documenti dell’operazione Disconnection zone della procura di Palermo. La stessa che nei giorni scorsi ha accesso nuovamente i riflettori sulla gang dei Vikings attivi a Ballarò, nel cuore del capoluogo siciliano, ma in grado di estendere la loro influenza anche tra Mineo, all’interno dell’ormai ex Centro per richiedenti asilo, e Catania. Un triangolo che, secondo gli investigatori, racchiuderebbe le principali zone d’influenza di tutti i culti neri presenti nell’Isola.
Julius era finito dietro le sbarre nei primi giorni dell’aprile scorso e a lui MeridioNews aveva dedicato un lungo approfondimento esclusivo: era coinvolto nell’operazione No fly zone sul gruppo degli Eiye. Il profilo tratteggiato dagli investigatori era quello di un vero e proprio mediatore. Abile nel mettere ordine all’interno del complicato assetto di potere della mafia nigeriana, in cui capi e reggenti vengono identificati con i nomi di ibaka e flying ibaka. La scalata nella gerarchia mafiosa, secondo l’accusa, gli avrebbe dato anche la possibilità di mettersi di traverso. Come quando affermava, mentre era intercettato, di avere avviato una vera e propria caccia all’uomo nei confronti di un aspirante boss forse troppo ambizioso. «Tutte le risultanze investigative – scrivono i pm – gli attribuivano un ruolo decisivo».
Si entra sempre per un brutto motivo in un culto. Mai per qualcosa di buono
Da quanto emerge Julius avrebbe cominciato a sbottonarsi già ad aprile, durante l’udienza di convalida del fermo. Ammettendo sia di avere fatto parte degli Eiye ma anche «di avere avviato nel 2013 un percorso di collaborazione con il governo italiano, nel corso del quale avrebbe fornito ai servizi segreti, in modo continuativo, informazioni sulle articolazioni e sulla operatività dei culti in Italia e in Europa». Julius avrebbe confermato pure di essere stato uno dei capi ma, almeno davanti al primo giudice, avrebbe dato una connotazione benefica al gruppo di appartenenza. Pochi giorni dopo il cambio di passo e la richiesta, arrivata tramite la polizia penitenziaria, di incontrare i magistrati per iniziare a collaborare.
«Tutti i gruppi sono per la forza. Si entra sempre per un brutto motivo in un culto. Mai per qualcosa di buono», ha spiegato a verbale. Nei suoi racconti, ricchi di parti che i magistrati preferiscono tenere riservate, ci sono anche i conflitti all’interno del Cara di Mineo, riassunti nella parola «guerra». Julius ha raccontato anche della presenza del culto dei Vikings all’interno dell’ex residence degli aranci poi finito in un’operazione della polizia di Catania – «Fuori da Mineo sono pochi – spiega – Dentro mi hanno detto che sono tanti. Sono arrivati in molti quando è stato creato Mineo».
L’essere finito spalla a spalla con gli 007 italiani non è però una novità per un presunto boss della mafia nigeriana. Prima di Julius è toccato al misterioso Gabriel Ugiagbe. Per anni attivo con i suoi affari tra Austria, Olanda e Spagna con la sua base a Catania, al secondo piano di un palazzone del viale Bummacaro 14, a Librino. Luogo in cui MeridioNews è tornato a cercarlo nei mesi scorsi – prima lo aveva fatto il quotidiano La Repubblica -. Ma di lui si è persa ogni traccia, nonostante il suo ricordo sia ancora vivo nei vicini di casa. «Qui c’è stata tanta polizia e dopo quel momento è sparito». Secondo alcune fonti giudiziarie Ugiagbe non è detenuto in Italia e l’ultima volta che il suo nome compare nei registri risale al 2016. Quando insieme ad altre 21 persone venne arrestato dai carabinieri per associazione mafiosa a Castel Volturno, in provincia di Caserta. Oggi dovrebbe avere 39 anni, ma è solo un fantasma.