«La Ligeam ha il certificato antimafia e la mancata presentazione del documento non è imputabile all’azienda, ma bensì alla lentezza della pubblica amministrazione italiana nel rilasciare determinati attestati», a spiegarlo sono i legali dell’imprenditore Michele Lico, contattati dalla nostra redazione, in merito alla richiesta di rettifica del nostro articolo sulla Ligeam srl. «L’impresa ha rinunciato all’appalto del servizio idrico di Siracusa e Solarino – aggiungono gli avvocati – solo per questioni di programmazioni e investimenti relativi ai tempi che si sono dilungati e dovuti all’agire delle amministrazioni locali».
Come abbiamo riportato noi nel nostro articolo, il sequestro in via cautelare della Lico Santo srl è stato revocato lo scorso novembre, ma i legali dell’imprenditore ci tengono a sottolineare che «l’azienda è stata completamente scagionata dalla vicenda, perché non c’erano le ragioni di base», e aggiunge che «tra i titolari dell’azienda Santo Lico srl e l’imprenditore Michele Roberto Lico c’è un rapporto di parentela, ma non hanno nessun rapporto societario né partecipazione nei rispettivi organi amministrativi».
Nel nostro articolo non abbiamo scritto che la Ligeam srl è coinvolta direttamente o indirettamente nell’inchiesta Mafia Capitale, ma abbiamo solo riportato, come pubblicato dal settimanale L’Espresso, che l’azienda di Michele Lico è tra i fornitori dell’Acea, società partecipata dal Comune di Roma al centro dell’indagine capitolina. Ma su questa parte gli avvocati di Lico hanno desiderato puntualizzare che «l’accostamento con l’inchiesta romana provoca un danno enorme all’azienda, che nella vicenda è assolutamente estranea».
La Ligeam «non ha indagini in corso né misure interdittive» e le verifiche su Michele Lico sono «pulite», aggiungono i legali: la contestazione a lui rivolta in passato, derubricata a falsa testimonianza, risulta prescritta. «Il giudizio del Consiglio di Stato si è pronunciato in merito alla Elmecont Elettromeccanica e controllo srl», altra società di Michele Lico, «destinataria di un’informativa ma non per attività propria, bensì perché in un suo cantiere in Calabria, alcuni dipendenti delle due ditte fornitrici sono stati segnalati in quanto ritenuti in contatto con le cosche Lo Bianco e Anello». Inoltre spiegano gli avvocati, «il Consiglio di Stato ha giudicato la legittimità della nota informativa prodotta dal Gruppo provinciale interforze, ma in seguito i due fornitori sono stati successivamente scagionati, e per questo abbiamo chiesto la revisione».
Infine, come riportato nell’articolo e come confermato dagli stessi legali dell’imprenditore, «nell’inchiesta Black Money il signor Michele Lico è citato da un soggetto», ovvero il boss Pantaleone Mancuso, ma gli avvocati tengono a sottolineare che il loro assistito «non è mai stato sentito in merito e non è mai stato minimamente coinvolto nel processo».
AGGIORNAMENTO: Michele Lico, tramite il proprio legale, fa richiesta di diritto all’oblio specificando come, in data 30 marzo 2017, il Consiglio di Stato abbia disposto la revoca dell’interdittiva precedentemente emanata dal Prefetto.
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