Soldi, aziende, investimenti immobiliari: un impero costruito, secondo le indagini, all’ombra di Cosa nostra. La guardia di finanza di Catania, con il supporto dei militari di Caltanissetta, ha sequestrato beni per oltre sette milioni di euro riconducibili a Giuseppe e Domenico Gentile, ritenuti figure di spicco del clan Nardo, articolazione della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, […]
Sequestro da 7 milioni a Lentini e Gela: nel mirino i beni dei Gentile, legati al clan Nardo
Soldi, aziende, investimenti immobiliari: un impero costruito, secondo le indagini, all’ombra di Cosa nostra. La guardia di finanza di Catania, con il supporto dei militari di Caltanissetta, ha sequestrato beni per oltre sette milioni di euro riconducibili a Giuseppe e Domenico Gentile, ritenuti figure di spicco del clan Nardo, articolazione della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, attivo a Lentini, nel Siracusano. Il sequestro, disposto dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania su proposta della procura, riguarda tre società – due operanti nel settore dell’autotrasporto e una nella compravendita immobiliare – oltre a rapporti finanziari intestati ai due soggetti coinvolti. Le imprese finite nel mirino degli inquirenti sono la Gentile Srl con sede a Lentini, la Avio Srl di Gela e la Gieffe Invest Srls, società attiva sempre a Lentini.
Giuseppe Gentile, detto Pippo, è deceduto nel 2022 ma ha alle spalle una condanna definitiva per associazione mafiosa e altri procedimenti penali per intestazione fittizia di beni, in concorso con il figlio Domenico. Quest’ultimo, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe continuato a gestire le attività economiche di famiglia anche durante la detenzione del padre, ed è oggi a processo per estorsione aggravata. L’attività investigativa ha evidenziato una palese sproporzione tra i redditi ufficialmente dichiarati dai Gentile e il reale patrimonio accumulato: una differenza che, in base al profilo indiziario ricostruito, sarebbe compatibile con l’utilizzo sistematico di capitali di origine illecita derivanti dall’infiltrazione dell’organizzazione mafiosa nel tessuto economico legale. Secondo gli inquirenti, infatti, padre e figlio avrebbero vissuto stabilmente grazie ai proventi delle attività criminali del clan e avrebbero contribuito, con le loro società, a finanziare l’associazione mafiosa infiltrando settori economici produttivi anche al di fuori della Sicilia.