Leonardo Sciascia scriveva della provincia di Ragusa definendola babba. Nel siciliano dell’epoca era un modo per dire «qui la mafia non esiste». A raccontare oggi l’infiltrazione mafiosa nel ragusano, i suoi affari e le sue connivenze, sono giornalisti come Paolo Borrometi. Trentaduenne, modicano, direttore del quotidiano online La Spia. Da agosto 2014 vive sotto scorta per via delle tante intimidazioni ricevute. Le più recenti sono arrivate attraverso i social network. Tra tutte, spicca un selfie. Ritrae un ragazzo che imbraccia un fucile e commenta «sempre pronti siamo per gli sbirri. Almeno ci divertiamo un po’ prima di morire o di finire in galera».
Borrometi spiega a MeridioNews «È solo l’ultima d’una serie di minacce. Preferirei che si parlasse di me per il contributo di verità che offro attraverso il lavoro di giornalista. Purtroppo, in questa terra, di verità ne è stata sempre raccontata poca». Nella provincia ragusana «la presenza mafiosa è permeante, non da oggi. Già negli anni Ottanta i morti si contavano a decine». Il ricordo va a «Giovanni Spampinato, cronista brutalmente ammazzato. Di lui si scrisse “in fondo se l’è cercata”». Il sospetto è che «fare passare questi delitti sottobanco, continuare a parlare di provincia babba, era comodo per la criminalità che ha le mani sull’economia. E lo è tuttora».
Delle le inchieste che Borrometi ha condotto sul territorio, racconta «sono parecchio legato a quella sulla città di Scicli. Ci presero per pazzi quando iniziammo a parlare di mafia nella città del commissario Montalbano. È finita col Comune sciolto per mafia e il sindaco rinviato a giudizio. Perciò tengo care le parole del collega di Repubblica Attilio Bolzoni “senza gli articoli di Borrometi non avremmo saputo niente di quel che avveniva”». Più di recente invece «mi sono occupato degli interessi della mafia e il mercato ortofrutticolo di Vittoria, il più grande d’Italia. Come risposta ho ricevuto le minacce di cui i quotidiani hanno scritto in questi giorni».
L’ordine dei giornalisti di Sicilia e l’Assostampa hanno espresso preoccupazione per quanto accaduto e anche solidarietà . «Sono convinto che da soli non si vada da nessuna parte – risponde il cronista – Bisogna fare squadra tra colleghi, essere un’unica famiglia. Rischieremmo tutti meno e lavoreremmo con più efficacia». La vita sotto scorta, confida, «è fatta di privazioni, solitudine e paura. Affronto ogni giorno convinto che una mattina, guardandomi allo specchio, potrò dire “ne è valsa la pena”. Intanto ringrazio gli agenti che mi stanno accanto».
Borrometi racconta e continuerà a raccontare ciò che accade in Sicilia. Alla domanda su come vorrebbe che fosse un giorno la sua terra, prende un attimo di silenzio «meravigliosa, come la raccontano le immagini della fiction Il commissario Montalbano». Perché ciò avvenga «per far sì che la bellezza non sia sporcata, c’è bisogno di verità e che le coscienze di noi siciliani non si accendano a intermittenza». Conclude «Siamo la terra degli eroi, delle lapidi e delle commemorazioni. Vorrei diventassimo un popolo che cammina, unito, sugli ideali di chi ha dato la propria vita per il bene della Sicilia».
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