Sei anni fa ci lasciava Oriana Fallaci

E’ stata definita ingombrante, guerrafondaia. Polemista indomita lo è stata sul serio. Ma più d’ogni altra cosa, Oriana Fallaci, che lasciava questa terra il 15 settembre di sei anni fa, era una scrittrice, come lei preferiva farsi chiamare. Una penna illustre che la stampa italiana non ha mai condiviso fino in fondo e che, probabilmente, ancora oggi stenta, non a non capire, ma ad accettare.

Con il lunghissimo articolo de “La rabbia e l’orgoglio” sul dramma dell’11 settembre per il crollo delle torri gemelle, pubblicato sul Corriere della Sera il 29 settembre 2001 ha fatto infiammare l’opinione pubblica. Una riflessione accolta da molti come lo sfogo razzista di una Giovanna d’Arco che bercia su tutto e tutti duramente e senza freni, da altri, invece, come la liberazione di pensieri per troppo tempo trattenuti da retoriche di correttezza politica. (a sinistra, foto di Oriana Fallaci tratta da pfgstyle.com) 

Oriana Fallaci era sicuramente un soldataccio del giornalismo che ha segnato le pagine della cronaca di tutto il mondo. Lei che con quel suo fare caparbio e ostinato, duro e rovente, riusciva ad estrapolare l’animo nascosto degli intervistati, raccontando di questi personaggi i dettagli meno palesi, quasi in attesa di scoprire una seconda verità.

Tante, tantissime le sue interviste. Ricordiamo l’incontro con il poeta Salvatore Quasimodo. O quello con il regista americano, Alfred Hitchcock. O, ancora, Indira Gandhi, Sandro Pertini, Saddam, Arafat, lo stesso Panagulis divenuto in seguito suo compagno di vita.

Inviata di guerra, la giornalista dalla penna di piombo su quelle pagine ha segnato la storia degli anni frastagliati dalle bombe e dal massacro politico, tra la polvere da sparo, i boati dei bengala, e quei lamenti di voci strozzate dalla paura. Proprio quel genere di paura asfissiante che stringe la gola e non lascia spazio al respiro…

Da Manhattan a Saigon, dal Bangladesh a Dak To, all’Italia, Oriana Fallaci ha vissuto sulla sua pelle la passione di quelle patrie profanate dalle conflagrazioni. 

Poi il Vietnam. Nella terra dei suicidi delle coscienze, in cui il dolore è un fatto ovvio, dinanzi al quale non ci si indigna, né si commenta, ma si sopravvive. Eccola tra l’odore del sangue secco dei cadaveri che abbandonano sull’asfalto come foglie accartocciate. O tra i massacri delle identità, in una pioggia di morte che porta via i nomi delle vittime, lasciando nel ricordo solo i numeri rugginosi di quel genocidio. (a destra, foto tratta da youtab.it)

Oriana Fallaci era in quei luoghi. Lei era lì, a vivere o morire. In quell’angolo di mondo in cui il disfacimento morale, causato dalla folle guerra di uomini che uccidono altri uomini, annientava ogni fede e non lasciava spazio che al silenzio degli ‘amen’. (sotto, Pier Paolo Pasolini, foto tratta da vitaliquida.blogspot.com)

A sei anni dalla sua scomparsa avvenuta, come già accennato, il 15 settembre 2006 nella sua casa a Firenze, ancora qualcuno si indigna nel ricordare quelle parole scritte sul Corriere della Sera e ci si chiede per quale motivo abbiano fatto tanto scalpore. Nell’effervescenza con cui i versi si susseguono uno dietro l’altro, portandosi dietro un’ accusa dietro l’altra, una battaglia dietro l’altra e ahinoi, una verità dietro l’altra.

Oltre la rabbia e l’orgoglio, oltre l’omologazione del pensiero, Oriana Fallaci urlava la sua indignazione perché non poteva sopportare di soccombere come le ‘sue’ donne del Bangladesh sotto il silenzio omertoso di chi accetta o di chi finge di non vedere. Perché? Perché parlava dell’ Italia come di un Paese che “si culla nella prudenza e nel dubbio”. Perché affermava che nulla è più forte della plebe riscattata.. . (mia nonna avrebbe detto’ un c’e cchiu’ tintu di quannnu un porcu si metti la cravatta’, ma il concetto è sempre lo stesso.)

Cos’è che fa indignare in quell’articolo? Forse quando dice che i politici “si odiano anche all’interno dei partiti?”. Che non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, o lo stesso distintivo? Oppure quando parla di una futura guerra riferendosi a quella effettuata non con le armi, ma con i batteri? O quando dice che ci si sente veramente italiani e si inneggia l’italia e si fa svolazzare il tricolore solo durante le partite di calcio, o nelle lusinghiere estemporanee durante qualche commemorazione ufficiale? Nulla di nuovo.

Non è corretto generalizzare, ma neppure banalizzare con un finto buonismo ed un falso ottimismo. L’Italia e gli italiani si definiscono solo se qualcos’altro li differenzia da loro stessi, solo se si ha qualcuno a cui attribuire la colpa quando le cose vanno male, lei avrebbe detto che siamo un pozzo di Ponzi Pilato.

Si è disposti ad offendere l’Italia se non offre opportunità di lavoro, né spazi adeguati alle nuove esigenze umane e culturali, alle avanguardie tecnologiche, ma si è pronti a difenderla a spada tratta se qualcuno ne parla allo stesso modo. Perché agli occhi del mondo l’italia deve rimanere la culla dell’arte e della cultura, delle belle donne e del buon cibo… E non importa se gli italiani la vivono diversamente. (a destra la fto di un noto libro di Oriana Fallaci, foto tratta daantizanzara.blogspot.com)

Ma Oriana Fallaci, guardando dall’esterno la sua Italia, con un bagaglio di conoscenze differenti da chi era sempre rimasto dentro quei confini, allarmava il suo Paese e lo faceva con parole che sembrarono asce affilate. Lo metteva a nudo.

Nell udire quelle risposte, gli italiani erano rimasti feriti perché Oriana Fallaci parlava quasi di un’Italia acritica che seguiva la moda, non solo in termini di abbigliamento. Ma non solo (Pasolini, andando a Manhattan, durante un’intervista rilasciata alla stessa Fallaci, si meravigliava della libertà con cui i giovani americani indossavano vestiti briosi e colorati, estranei alla cultura Made in Italy, troppo legata ad una sobrietà cupa, quasi vecchia.)

La moda a cui faceva riferimento la scrittrice era la moda dell’essere. O dell’apparire. Moda nel definirsi atei o credenti ingiustificando i motivi di questa assenza o presenza di fede. Moda nel divenire propagandisti di slogan di qualunque genere senza analizzare se gli italiani sarebbero stati pronti ad accettare questi cambiamenti.

Quando Oriana Fallaci parlava di moda si riferiva alla comodità del tacere per stare dalla parte del più forte. Far parte di un coro composito e intonato poiché le voci soliste, in questo caso, non avrebbero avuto un posto in prima fila. La solitudine risente di questo limite. (a sinistra un altro noto libro della Fallaci: foto tratta da nomadvoice.blogspot.com)

Allora cos’e’ cambiato? Ancora oggi l’Italia segue questo genere di mode. Forse per qualche giovane politico discutere di antimafia, di lotta alla criminalità organizzata, di antiterrorismo potrebbe diventare un’esigenza, un’autodifesa, un’opportunità: pubblicità personale, una moda comoda e clientelare. Quanti ne vediamo che, pur di accaparrarsi qualche voto, si riempono la bocca di antimafia? E quanti sono coloro che non ne parlano volontariamente per non perdere il consenso della folla? Dire di giocare a carte scoperte, e nascondere l’asso nella manica!

L’esigenza di difendere le radici della proprio cultura non significa essere contro il multiculturalismo, altrimenti Oriana Fallaci non avrebbe scelto di vivere in un Paese come l’America. Ma per accettare il multiculturalismo occorre essere veramente pronti a questo. Iniziare dalle piccole cose come a non insultare il lavavetri che ai semafori si accosta alla macchina tipo “tornatene al tuo paese”. Occorrerebbe iniziare anzitutto dall’Italia e dagli italiani… Nord e Sud, per esempio.

Forse l’indignazione scatta per quelle dichiarazioni sulla paura di una possibile guerra di religione. Una paura lecita che nasce dall’esperienza terrificante del crollo delle Torri gemelle dove, come ogni guerra che si rispetti, il primo, fondamentale obiettivo è quello ridurre gli uomini a mero schedario di numero privandoli della propria identità. E radere al suolo le Twin towers significava proprio annichilire il cuore della città , deturparle il volto. Quel massacro in nome di Allah? O per questioni politiche? Religione e politica.

In qualsiasi modo questi elementi vengano combinati sono stati i principali fattori dell’attentato. Uomini disposti a morire in nome di un Dio, uccidendo altri uomini… Una guerra Santa! Una crociata!

E’ vero, Oriana Fallaci, nonostante rispettasse la cultura islamica, non ci andava molto d’accordo. D’altronde, come lei stessa diceva, non si può piacere a tutti: lo shador sui volti delle donne, lo sfruttamento del corpo femminile, la poligamia, il fanatismo religioso, la lapidazione per adulterio, i kamikaze…

Non è poi cosi’ semplice essere concordi con questa cultura! (a destra, foto tratta da settemuse.it)

Ma come aveva reagito l’italia al grido disperato della giornalista? A Firenze l’attrice Franca Rame e lo scrittore Dario Fo organizzavano un evento in piazza. La signora Rame salendo sul palco esordiva pronunciando un nome, il nome di Oriana Fallaci. Dal pubblico ergevano fischi da stadio e strilli di disapprovazione. La signora proseguiva nel discorso affermando che la giornalista in questione aveva seminato il terrore a Firenze con quelle dichiarazioni espresse nell’articolo e che per questo era una terrorista. Proseguiva la manifestazione con l’intervento del marito, premio Nobel, Dario Fo, che rincalzava la dose: Oriana Fallaci terrorista.

Successivi cortei pacifisti, quindi antiamericanisti, vedevano svolazzare contemporaneamente bandiere di pace e striscioni con scritto: Oriana funk you, “Meglio un Pacciani in casa che una Fallaci sull’uscio”, le bombe intelligenti leggono Oriana Fallaci.

E ancora, Sabina Guzzanti, attrice comica, ma stavolta molto poco comica, durante una conferenza stampa si presentava ai giornalisti abbigliata da soldatessa con tanto di mimetica ed elmetto, imitando e deridendo la giornalista, tra le grasse risate dei presenti. Poi dalla platea qualcuno urlava: “Che ti venga un cancro” e la Guzzanti, facendo scempio anche della malattia della Fallaci, rispondeva gracchiante: “Mi è venuto già!”. Mentre incalzavano le risate…

Come dovrebbero essere definite queste persone che parlano di anti terrorismo e si comportano allo stesso modo? Non occorre commentare. Oriana Fallaci ha cercato di svegliare le coscienze tiepide e intorpidite degli italiani che sostano su un livello di accettazione passiva della storia dentro una bomboniera comoda e silente.

Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, sono masochisti.

Terrorista. Pacciani. Derisione della malattia. Beh! Forse anche puntare il dito contro Oriana Fallaci era una moda.

 


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E’ stata definita ingombrante, guerrafondaia. Polemista indomita lo è stata sul serio. Ma più d’ogni altra cosa, oriana fallaci, che lasciava questa terra il 15 settembre di sei anni fa, era una scrittrice, come lei preferiva farsi chiamare. Una penna illustre che la stampa italiana non ha mai condiviso fino in fondo e che, probabilmente, ancora oggi stenta, non a non capire, ma ad accettare.

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