Al Cortile Platamone è andato in scena Troppu trafficu ppi nenti, testo di reminescenza shakesperiana, attribuito ad un tale Scrollalanza e rielaborato a quattro mani dai nostri conterranei Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
Se u malu cchi ffari diventa commedia
Nella versione più conosciuta, la traduzione del titolo di uno dei lavori più rinomati di William Shakespeare è “troppo rumore per nulla”, dove per rumore si intende chiacchiera, agitazione, trambusto; nella versione dialettale di un certo Messer Michele Angelo Florio Scrollalanza diventa “troppu trafficu ppi nenti”, insomma una storia fatta di intrighi d’amore, dicerie, inimicizie ed inganni che non hanno altro fondamento se non quello definito – proprio alla siciliana – ‘u malu cchi ffari.
L’opera fa parte della rassegna estatestabile promossa nel cartellone 2009/2010 del T.S.C., insieme ad altre rappresentazioni di durata più breve, come Scupa (17/19 luglio), Duetto (25/26 Luglio) e Lettera ad un bimbo mai nato (1/2 agosto). L’iniziativa – lodevole – porta il pubblico catanese alla scoperta di tesori architettonici della città, spesso poco noti e valorizzati, come appunto il Cortile all’interno di Palazzo Platamone, l’ex convento San Placido, oggi palazzo della Cultura, sito in via Landolina.
È in questo incantevole contesto che ha inizio la festa. Una musica arabesca, che farà da sottofondo costante alla maggior parte delle scene, dà il via allo spettacolo. È un tripudio di colori ed essenze di incenso, stoffe e sete, movimenti in un gioco che mira a colpire più sensi contemporaneamente. Grande merito vanno a Giuseppe Andolfo e Donatella Capraro che hanno curato rispettivamente costumi e coreografie. E come per magia si accendono le luci e fu il verbo… solo che non si tratta dell’inglese elisabettiano, né di una corretta traduzione toscana, bensì di un dialetto, quello messinese, e anche stretto, a cui si fatica a fare l’orecchio, eppure facilitato dalla ricchezza di forme proverbiali.
Sulle note di una musica a tratti inquietante, a volte fluttuante e melodiosa (a cura di Massimiliano Pace) si muovono in scena i diversi personaggi della storia. Il fulcro delle vicende è la formazione di due coppie: la bella picciotta Eru (Valeria Contadino) con Claudiu (Plinio Milazzo) che vivono un colpo di fulmine e un’infatuazione fresca e giovane da un lato, Biatrici (Alessandra Costanzo) e Binidittu (Angelo Tosto) all’insegna di un amore un po’ pilotato ma che si riscopre infine sincero ed appassionato dall’altro. A fare da contorno le confabulazioni dei farabutti di turno e qualche sketch esilarante del grande Mimmo Mignemi nel ruolo di Carruba, con tanto di scivolone sul palco perfettamente sdrammatizzato! “Stanotte ci sarà troppu trafficu ppi nenti!”, è proprio a questo personaggio che viene affidata la battuta che dà il titolo all’opera.
Emblematica sarà la danza del sirtaki, un ballo mesto ed in maschera, come un preludio al rondò di inganni e raggiri, piaceri e dolori che si succederanno di seguito nella storia.
La collaborazione autorale tra Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, anche regista e direttore delle scene, è egregiamente riuscita. I due sembrano voler insinuare nello spettatore un interrogativo “e se davvero Shakespeare fosse siciliano?!”. Ed in effetti questa teoria viene sostenuta da eminenti studiosi e dalle note bibliografiche dell’autore in questione.
Michele Agnolo (o Michelangelo) Florio (Scrollalanza dal lato materno) nacque probabilmente nel 1564 ed essendo di origine quacquera, visse parte della sua vita in fuga dalle persecuzioni religiose, approdando nelle isole Eolie, a Messina, Venezia, Verona ed infine in Inghilterra, prima a Stratford on Avon e quindi a Londra. E già le coincidenze sono strabilianti. Inoltre, fu autore di molte tragedie e commedie ambientate nei suddetti luoghi, di cui dimostrava di avere dimestichezza. Alcune sue opere rinvenute sembrano essere quindi la versione originaria dei più famosi lavori attribuiti al colosso della letteratura inglese; Troppu trafficu ppi nenti, scritta in messinese, potrebbe essere perfettamente l’originale di “Too much ado for nothing” di William Shakespeare, apparsa cinquant’anni dopo. E che dire del cognome? Il passo da Scrolla lanza alla traduzione “shake the speare” è davvero breve.
Se questa rivendicazione campanilistica vi convince, non vi stupirete davanti a versi che potrebbero anche suonare così “campari o non campari, chistu è u pobblema”.