Al Festival del Giornalismo di Perugia si è parlato del ruolo delle donne nella società attuale tra media, politica, attualità e mondo del lavoro, con uno sguardo alle cause del precariato e alle possibili strategie per sconfiggerlo. Ospiti dell'incontro Susanna Camusso, Maria Laura Rodotà e Concita De Gregorio
«Se non ora quando». Sì, ma come?
Nell’era del Bunga Bunga e dell’arrivismo in cambio del corpo, qual è la visione che la società moderna ha della donna? E, in un mondo del lavoro sempre più dominato dall’incertezza del precariato, che ruolo giocano i modelli proposti dalla televisione e dagli altri media nel formare la coscienza delle più giovani? Se n’è discusso al Festival del Giornalismo di Perugia, nel corso del dibattito “Donne, media e potere”, a cui hanno partecipato le giornaliste Concita De Gregorio e Maria Laura Rodotà, insieme a Susanna Camusso, segretario generale CGIL, e Irene Tinagli, ricercatrice universitaria all’estero.
«Non sarà il solito dibattito sul corpo delle donne», esordisce la Rodotà. E rivolge subito una domanda alle relatrici presenti, prendendo spunto dalla sala gremita di giovani donne che vogliono lavorare nei media ma «che hanno zero potere». «Ripensando al 13 febbraio, se non ora quando? Ma anche come?». La prima a rispondere è Susanna Camusso, che premette quanto sia difficile dare consigli alle giovani ragazze precarie perché «vengono recepiti come racconti da un’altra generazione: noi abbiamo fatto i nostri lavori precari, ma non era un problema perché sapevamo che non lo avremmo fatto per sempre. Oggi, soprattutto le donne, invece, si trovano in una trappola da cui non si può uscire e tutti i progetti sono frantumati dall’idea che il precariato non è una situazione che si risolverà». E continua: «Non servono i consigli, ma bisogna ragionare su come fare. Bisogna uscire dalla solitudine che accompagna non solo le donne, ma tutti i giovani precari e disoccupati. Da noi, più hai studiato e più sei precario: i giovani sono costretti a nascondere i titoli di studio per cercare di ottenere un lavoro. L’Italia è un paese che non scommette più sul futuro».
Secondo la Camusso, la crisi in cui versano i più giovani dipende dalla mancanza di un senso di appartenenza a una comunità: «La società di oggi impone il concetto che da soli si fa meglio e che chi hai vicino è il tuo nemico. Per uscire da questa debolezza è necessario rompere la percezione che la causa della precarietà sia una colpa individuale, quando in realtà si tratta di una condizione collettiva». Sui fatti di attualità e sulle donne che vogliono lavorare nel mondo dello spettacolo, la segretaria CGIL aggiunge: «Si è creata un’immagine che getta ombre su chi vuole intraprendere questa carriera, come se si trattasse solo di scambi di favori. L’Italia è piena di gente che vuole lavorare e il comportamento di qualche “signore potente” non può cancellare una collettività piena di competenza e professionalità».
A parlare di donne e lavoro è anche Irene Tinagli, ricercatrice in ambito economico che lavora da anni all’estero. «In America potevo permettermi il lusso di dimenticare di essere una donna. Nessuno me lo faceva notare e non ero penalizzata. In Italia, invece, si discute ancora del ruolo della donna: è strano ma terribilmente necessario». La ricercatrice denuncia anche la scarsa presenza di donne che prendono parte a conferenze e dibattiti nel nostro paese: «È inquietante che le donne siano chiamate in causa solo quando si parla di donne. All’estero questo non succede». Secondo la Tinagli, la causa sarebbero ostacoli politici, ma anche una questione di mentalità: le italiane vedono nelle altre donne un nemico e questo va contro l’emancipazione. In più entra in gioco un fattore culturale: per paura del potere che hanno o che potrebbero avere, sono abituate a non chiedere e far leva sul vittimismo e nell’autoghettizzazione, sottolineando anche l’importanza di coinvolgere gli uomini nel dibattito, perché «hanno un ruolo fondamentale. Non è una questone femminile ma sociale».
Sul’l’alto tasso di precariato tra le donne che lavorano nell’informazione, Concita De Gregorio dice: «Negli ultimi trent’anni e soprattutto negli ultimi quindici si è verificata una vera e propria involuzione. Quando io ho cominciato questo lavoro, non mi ero mai posta il problema di essere una donna, poi però è cambiata la percezione e l’autopercezione nel genere femminile, anche a causa dell’immagine che ci viene data dai media. Inoltre, la crisi economica e la mancanza di lavoro portano le ragazze a inseguire modelli secondo cui, concedendo favori, si può diventare subito ricchi e famosi». E aggiunge: «La precarietà è un problema enorme, e lo è stato anche in passato. Oggi però è uno stato d’animo. Sono convinta che le persone che sono in grado di offrire proposte professionali e di qualità, alla fine, trovano casa. La politica e l’economia contano molto, ma in parte dipende da noi». Il direttore de L’Unità crede che la crisi in cui versa il Paese non sia una catastrofe naturale, bensì il risultato di una politica che non vuole guardare al futuro: «La cultura è considerata una zavorra, la precarietà è esistenziale. L’Italia vive una stagione di governo in cui il consenso è fondato sull’ignoranza, sulla paura e sull’individualismo».
In chiusura, Concita De Gregorio invita gli italiani a riprendere le redini del Paese e i giovani in particolare a restare e «fare la rivoluzione». Dello stesso avviso anche Susanna Camusso, che chiude il dibattito sottolineando come, nonostante l’Italia stia vivendo una stagione difficile a causa della crisi e delle scelte dell’attuale Governo, «il nostro Paese è molto meglio di quello che vediamo in tv. Dobbiamo prendere in mano il nostro destino. Possiamo cambiare, dobbiamo solo decidere di farlo. L’italia non è solo Bunga Bunga».